Torni a bordo, De Falco

di Giorgio Gandola
In fondo anche questo è un naufragio. Una piccola deriva dell’anima che ha travolto un uomo al quale tutti i media avevano dato dell’eroe. E lui, in cuor suo, aveva cominciato a crederci. È la parabola di Gregorio De Falco.

In fondo anche questo è un naufragio. Una piccola deriva dell’anima che ha travolto un uomo al quale tutti i media avevano dato dell’eroe. E lui, in cuor suo, aveva cominciato a crederci. È la parabola di Gregorio De Falco, il capitano di fregata che nella notte della Concordia, una delle più buie nella storia recente del nostro paese, riscattò in parte l’ignominia di una nazione pronunciando quella frase pittoresca all’indirizzo del pusillanime comandante Schettino: «Torni a bordo, c......».

Ora De Falco, che si aspettava una promozione, un encomio o almeno un telefilm che ripercorresse quegli attimi, si ritrova a dover gestire un trasferimento. Lui cresciuto nella carriera operativa, spedito dietro una scrivania dall’ammiraglio Faraone che difende la scelta: «Normale avvicendamento di ruoli».

La decisione delle alte sfere della Marina lascia perplessi. Ed è curioso - e persino ingrediente decisivo per la zuppa dell’indignazione collettiva - che mentre lui viene ritirato dai riflettori di scena, il pessimo Schettino possa rimanerci (in scena) con lezioni universitarie, party, udienze processuali in mondovisione, così da perpetuare la negatività di un ruolo.

È più italiano Schettino o De Falco? La risposta, che corrisponde a una speranza, è ovviamente De Falco. Ma un De Falco che si lamenta davanti alla stampa, accenna a discriminazioni, si ammanta di vittimismo e ascolta le sirene della politica pur ricordando «sono un militare», è un italiano al quale vorremo dire in senso buono: torni a bordo anche lei.

© RIPRODUZIONE RISERVATA