Cotoletta col pollo, tiramisù con panna
La top 5 degli errori (orrori) dei ristoranti

Le ricette più famose della cucina italiana sono di frequente «tradite» dai ristoranti, magari orientati a menu «acchiappaturisti» che fanno prendere alla leggera il rispetto dei piatti tradizionali.

Le ricette più famose della cucina italiana sono di frequente «tradite» dai ristoranti, magari orientati a menu «acchiappaturisti» che fanno prendere alla leggera il rispetto dei piatti tradizionali. Così nel 35% dei ristoranti vengono serviti gli spaghetti alla bolognese - che però sono un piatto del tutto sconosciuto nella città emiliana -, nel 26% dei locali la cotoletta alla milanese è preparata erroneamente anche con carne di maiale o di pollo e nel 24% dei locali agli spaghetti alla carbonara viene aggiunta la panna.

È quanto emerge dalla top five degli sbagli più diffusi in cucina nel rapporto Coldiretti/Censis sulla ristorazione in Italia presentato al Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione organizzato dalla Coldiretti. Tra le specialità più «tradite» - aggiunge Coldiretti - ci sono anche la pasta al pesto proposta con mandorle, noci o pistacchi al posto dei pinoli e con il formaggio comune che sostituisce il parmigiano reggiano e il pecorino romano (23%), ma anche la pasta alla Norma con un formaggio diverso dalla ricotta salata (19%) e il Tiramisù con la panna al posto del mascarpone(19%).

«Al di là della buona volontà dei ristoratori, oggi non esiste nessuna garanzia per i clienti sulla reale provenienza, ad esempio, del pesce o della carne, ma anche del formaggio per condire la pasta, con un utilizzo molto diffuso di imitazioni straniere del Parmigiano reggiano e del Grano padano», afferma il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo. Ma in base alla crescente domanda di cibi salutari da parte dei consumatori, sono sempre più gli chef - conclude l’organizzazione agricola - che acquistano direttamente dagli agricoltori, diventati nel 2017 il primo canale di fornitura dei ristoranti: il 39% dei locali si rivolge infatti alle aziende agricole, contro un 34% che si rifornisce da grossisti e un 21% che va nei mercati.

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