«God of War»,
il duro lavoro del padre

Passano gli anni ma il buon, vecchio Kratos continua a restare una certezza. Un antieroe rude e affascinante (in questa nuova avventura inaspettatamente dal cuore d’oro), capace di conquistare schiere di videogiocatori nei panni del dio greco come in quelli del vichingo.

Piattaforma: PlayStation 4

Genere: Action-Adventure

Sviluppatore: Santa Monica Studio

Produttore/Distributore: Sony Interactive Entertainment

PEGI: 18

Cosa sia passato nella mente dei game designer di Santa Monica Studio quando hanno deciso di “trasferire” in toto il franchise God of War nel freddo e desolato nord passando dalla mitologia greca a quella norrena non lo sapremo mai, ma quel che è certo è che Kratos in versione “vichinga” ci piace, e ci piace davvero tanto. E nelle prossime righe vi spieghiamo il perché.

In questo nuovo capitolo – come da tradizione esclusiva PS4 sviluppata dal team Santa Monica (da poche settimane sugli scaffali dei negozi) - l’Antica (e assolata) Grecia della trilogia originaria lascia il posto alle gelide terre della Scandinavia, dove il buon vecchio “Fantasma di Sparta” si è rifugiato in seguito agli eventi di God of War III (che per ovvie ragioni non vi spoileriamo). Qui Kratos ha messo su famiglia e prova a condurre una vita normale, da uomo semplice, in compagnia della moglie Faye e del figlioletto Atreus. Ma ovviamente nemmeno questa volta al buon, vecchio Kratos è andata bene: il nuovo capitolo comincia infatti con la cremazione della compagna, morta per ragioni del tutto sconosciute e le cui ceneri dovranno essere portate dal compagno Kratos insieme al piccolo Atreus sulla vetta più alta dei Nove Regni, su richiesta della stessa Faye in punto di morte.

E’ questo l’incipit di un’avventura intensa e ricca di colpi di scena, dove in realtà il viaggio verso la vetta più alta dei Nove Regni (i nove mondi della mitologia norrena) sarà semplicemente lo sfondo, il pretesto che guiderà i due protagonisti Kratos e Atreus ad avvicinarsi, a costruire quel rapporto padre-figlio che fino a prima della scomparsa della madre non era mai stato messo alla prova, era rimasto in superficie. Il focus della narrativa è dunque totalmente centrato sul dialogo fra Kratos e Atreus, che cresce, evolve, ed è in continuo mutamento: inizialmente il padre Kratos apparentemente anaffettivo fatica ad esprimere i suoi sentimenti, risponde con monosillabi alle battute del figlio (invece decisamente più loquace del padre sornione), ma poco alla volta dentro al cuore del freddo guerriero greco qualcosa si muove, comincia a rispondere al figlio con toni diversi, più pacati e accondiscendenti, lo ascolta con maggior interesse. Kratos impara il significato della parola “padre”.

Non potevano ovviamente mancare i tanti riferimenti alla mitologia nordica, che permea l’intera produzione di Santa Monica: dai giganti di ghiaccio passando alle divinità norrene Odino, Thor e compagnia bella (che vorranno ovviamente togliere di mezzo Kratos e figlio) e tantissimi altri personaggi, luoghi e oggetti leggendari dell’universo nordico. Il tutto coordinato e portato su schermo da una direzione artistica puntuale e di altissimo profilo, capace in certe situazioni di inchiodare il giocatore pad alla mano ad ammirare ciò che gli si para di fronte; come solo i titoli Naughty Dog e pochi altri hanno saputo fare su console PlayStation. Se volessimo trovare il cosiddetto “pelo nell’uovo” potremmo dire che God of War non offre una visione particolarmente originale della mitologia norrena e ci saremmo aspettati scelte di scrittura un po’ più coraggiose e sopra le righe. Ma fortunatamente l’ottima messinscena, l’epicità di certe scene e il taglio volutamente cinematografico dell’intreccio narrativo valgono da soli il prezzo del biglietto. E il meglio deve ancora venire.

Il netto cambio di location ha dato la giusta spinta agli sviluppatori per dare un deciso cambio di rotta al gameplay, non più legato alle dinamiche action del passato (come visto in God of War III),

ma ibridato e in linea con quelli che sono gli stilemi attuali del genere. Evidente sin dai primi minuti di gioco è l’apertura all’esplorazione, non ai livelli di un open-world, è ovvio, ma comunque utile a garantire all’avventura di Kratos e Atreus un buon respiro ambientale, con diversi anfratti segreti da scovare, strade secondarie, tesori, enigmi (invero non sempre riuscitissimi) e delle vere e proprie missioni secondarie alla stregua di un gioco di ruolo. La componente ruolistica è molto più di un semplice orpello nel nuovo lavoro dei ragazzi di Santa Monica, ma si estende con prepotenza alle abilità di Kratos attraverso un sistema di crescita ben strutturato e legato ai tradizionali punti esperienza.

Parli di Kratos e il pensiero va subito alle devastanti e spettacolari Lame del Kaos della prima trilogia. Ma nel freddo nord l’arma dello spartano non poteva che essere un’altra. Per buona parte dell’avventura l’arma principale brandita dal Fantasma di Sparta è infatti un’ascia di nome Leviatano che può essere lanciata e richiamata come se fosse il martello di Thor (e non è un caso, anzi: è un vero e proprio tributo al Mjolnir del dio del fulmine). E anche qui si nota un importante cambio di tendenza rispetto al passato: se nella trilogia originale era il continuo cambio di armi a caratterizzare gli scontri e a dare ritmo all’azione, in questo nuovo capitolo le schermaglie hanno una deriva che potremmo quasi definire strategica, leggermente più ragionata. Questo anche grazie alla presenza di Atreus, non un semplice accompagnatore ma un personaggio “semi giocabile” che fornisce assistenza su richiesta e il cui intervento – ben studiato – è quantomeno vitale in certe situazioni più complesse. Inoltre il figlioletto può essere parzialmente personalizzato, sia per quanto riguarda le abilità che per l’armatura.

Stando a quanto scritto sinora si potrebbe dire che God of War si sia trasformato in un action RPG. Ed in effetti per certi versi è così: esplorazione, missioni secondarie, sistema di crescita del personaggio e anche un discreto sistema di raccolta oggetti reperibili da scrigni (più meno nascosti) o dai corpi dei nemici e che permettono di potenziare o creare armi e armature. E le soluzioni non sono per niente poche: rune da inserire in alcuni incavi che forniscono speciali bonus (qualcuno ha detto Diablo?), l’impugnatura dell’ascia che può essere cambiata , così come anche le parti dell’armatura. Niente di mai visto prima d’ora, certo, ma per un action old school è senz’altro un bel cambio di marcia.

Passano gli anni ma il buon, vecchio Kratos continua a restare una certezza. Un antieroe rude e affascinante (in questa nuova avventura anche dal cuore d’oro), capace di conquistare schiere di videogiocatori nei panni del dio greco come in quelli del vichingo. Tutto è al posto giusto: c’è quella dose di epicità tipica della saga, una narrativa ben scritta, il solido gameplay adrenalinico con un pizzico di strategia, una grafica fra le migliori viste su PS4, e novità della componente ruolistico-esplorativa che dà una bella svecchiata al tutto. La perfezione però non esiste e quello che è mancato è sicuramente un po’ di coraggio in alcune scelte di game design, a tratti evidentemente derivativo. Ma non possiamo di certo pretendere che la rivoluzione videoludica passi ogni volta da God of War.

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