A 45 anni senza marito
E gli altri ti chiedono perchè

Da «Volevo essere una gatta morta» (2011) a «Volevo essere una vedova» (Einaudi, pp. 206, euro 17). Sono passati otto anni dall’uscita del primo, fortunato romanzo di Chiara Moscardelli. Ma di fidanzati «veri», ancora, niente.

Abbiamo lasciato una protagonista trentenne, la ritroviamo quarantacinquenne, ma, ancora, la Mosca (senza alcuna attinenza montaliana) un principe azzurro non l’ha trovato. Nel frattempo ha scelto di andare in esilio volontario da Roma a Milano, dove ha trovato un posto presso una casa editrice. L’impatto con i milanesi e la loro fretta («fretta di prendere un caffè», fretta di avere fretta) non è facile. Dall’estetista, viene stordita dalla raffica di «e» sbagliate che escono dalla bocca della truccatrice (béne, sècca, sacchètto, capèlli), l’esercizio della raccolta differenziata la vede goffa, impreparata neofita. Tanto che i contorni del principe azzurro «si andavano confondendo con quelli della spazzatura». Trascorriamo il tempo credendo di averne molto altro, e invece i cinquanta incombono come una ghigliottina. E ancora niente famiglia del Mulino Bianco. Come mai, a quarantacinque anni, non hai ancora trovato l’uomo giusto, creato una famiglia, fatto dei figli? Queste domande, velenose di sottaciuto rimprovero, la Mosca se le sente rivolgere nelle circostanze più impensate, diventano una sorta di stigma sociale, un ritornello interiorizzato nella mente. Con annessi sensi di inadempienza e inadeguatezza, che confermano/esacerbano insicurezze e complessi antichi, infanzie infelici e adolescenze da dimenticare. Tanto che la Mosca, cronicamente più incline a cercare l’approvazione degli altri che a soddisfare i propri bisogni, non si gode nemmeno il successo del primo libro, il impegnata com’è a «lamentarsi della mancanza di principi azzurri in circolazione». Per pararsi dalle frecciatine, si dà una nuova identità socialmente accettabile: vedova, patente atta a invertire la marcia, persino, della macchina del tempo: da «Come mai a quarantacinque anni non hai ancora marito e figli?» a «Poverina, così giovane?». Un lungo percorso, in chiave ironico-umoristica, affiancato dallo psicologo Mortimer, porterà la Mosca ad uscire dalle secche dell’autocommiserazione, della protettiva convinzione di essere sbagliati e sfortunati, per ammettere finalmente che Cenerentola non esiste, che l’unica favola vera è la vita che ci è toccata e ci costruiamo.

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