Ecco l’Italia
dei «liberi e uguali»

La democrazia orizzontale spiegata in un libro del sociologo Marco Marzano e dalla politologa e giornalista Nadia Urbinati. L’elogio dei cittadini attivi, mentre l’articolo 3 della Costituzione va reso attuale.

L’articolo 3 della Costituzione afferma non solo il principio di uguaglianza («Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge»), ma anche quello di uguaglianza sostanziale. L’impegno della Repubblica, infatti, è teso ad un riequilibrio delle forme di svantaggio attraverso la rimozione «degli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Bisogna partire da qui per leggere il senso del libro di Marco Marzano e Nadia Urbinati, «La società orizzontale», Feltrinelli. Il sociologo dell’Università di Bergamo e la docente di Teoria politica alla Columbia University affrontano un tema sensibile e delicato, destinato a far discutere: quale spazio vi sia per l’affermazione di una società di «liberi e uguali».

Dinanzi alla caduta del senso d’autorità, riassunta nella formula della «morte del padre», i due autori ne contestano l’analisi che va per la maggiore. E cioè che l’autorità perduta avrebbe portato ad un eccesso di democrazia, generatore a sua volta della disgregazione della società: egoismo, individualismo, solitudine, disperazione. Un «liberi tutti» anarcoide che fa prendere cattive decisioni come la Brexit. «Questa costellazione di sintomi patologici – si legge nel saggio – coincide con la società democratica, che avrebbe portato gli esseri umani a liberarsi dal peso della responsabilità individuale». Viceversa, era proprio quella società rigida a produrre disuguaglianza, un «sopra» e un «sotto», una gerarchia sottoposta all’obbedienza acritica: «Se il modello ieri era il campo di battaglia, oggi è la corporation o l’azienda, e in nessun dei due casi vale la logica della cooperazione perché solo gli uguali cooperano, mentre i disuguali in competenza e responsabilità o guidano o eseguono».

Trasferita in politica, la società verticale ha popolato la Prima Repubblica di partiti identitari e di fedelissimi, «non precisamente il luogo ideale per la cooperazione creativa dei militanti». Mentre i partiti di governo sono periti nei tribunali, il Pci è morto perché incapace di mutare: «Vincere con le armate comuniste o vincere a tutti i costi pur di vincere: due strategie egualmente fallimentari, la prima per un deficit di democrazia, la seconda per uno di etica».

Nella Seconda Repubblica il partito è retrocesso ad appendice del carisma personale del leader attraverso un messaggio di questo genere: ci fosse più decisionismo autoritario e meno democrazia, vivremmo meglio e in un’Italia funzionante. Citando statistiche e sondaggi, Marzano e Urbinati ritengono invece che, dopo la fine delle appartenenze identitarie, gli italiani sono diventati più pragmatici, attenti e indipendenti, superando la divisione schematica tra una massa di disinteressati e una minoranza di mobilitati: «La società orizzontale è esattamente questo: un luogo immateriale e simbolico dove i cittadini interessati e attivi sono tanti e con molte ragioni per interessarsi alla politica.

Essi non hanno intenzione di ritirarsi dal lavoro di monitoraggio e discussione, non hanno cioè alcuna intenzione di lasciare agli eletti il piacere e il privilegio di occuparsi della cosa pubblica». Pur con tutti i rischi della «Facebook democracy» verso la quale gli autori si pongono con attenzione critica, le trasformazioni tecnologiche cambiano la natura della cittadinanza e della partecipazione molto più di quelle sociali e politiche. Se nella società verticale prevaleva il cittadino deferente, nel modello orizzontale vive politicamente il cittadino autorealizzato, attivo nella Rete, non concentrato solo sul momento elettorale, ma pronto a dibattere quel che dicono i media e la classe politica. Nel riconoscere che la «democrazia connettiva» non è tutto e che la stessa società orizzontale non è esente da pericoli, i due analisti registrano comunque che la fiducia nella democrazia e il desiderio di partecipare e di essere ascoltati sono ben lontani dall’essere scomparsi. Da qui la pista liberal di rilancio della democrazia partecipativa, che si oppone al pessimismo prevalente, con lo sguardo fisso sull’articolo 3 della Costituzione.

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