Expo, androidi e spaghetti
La fantascienza a tavola

È l’anno di Expo Milano e dei suoi temi cardine: cibo ed energia per il nostro futuro.

E proprio sull’onda questo appuntamento planetario che le Edizioni della Vigna propongono una raccolta di racconti di autori italiani dal titolo ammiccante «Ma gli androidi mangiano spaghetti elettrici?». Ovviamente si tratta della citazione storpiata de «Ma gli androidi sognano pecore elettriche?», il celebre romanzo di Philip K. Dick dal quale è stato tratto il film «Blade Runner», pietra miliare del cinema di fantascienza e non solo.

Ma la raccolta, curata da Francesco Grasso, Marco Minicangeli e Massimo Mongai non è un’operazione furbesca e istantanea per accaparrarsi il «piatto del giorno». Cibo ed energia sono argomenti assai cari alla narrativa d’anticipazione, la fantascienza ama disegnare il mondo che verrà e tali ingredienti sono indispensabili. Dal lontano Jules Verne al contemporaneo Rudy Rucker, passando per Isaac Asimov, William Gibson e Herbert G. Wells, tutti hanno trattato questi aspetti, questioni capitali per raccontare gli scenari che l’umanità potrebbe trovarsi ad affrontare. Pensiamo ai cannibali Morlocks oppure al “cibo” affetto da gigantismo, ma anche alle variegate epidemie del bestiame e alle catastrofi demografiche che in molti classici fantascientifici rendono improvvisamente preziosi beni che oggi sono di uso comune.

«Ma gli androidi mangiano spaghetti elettrici» è un libro, anzi un menu che si compone in 18 portate, tutte diverse nella foggia e nella composizione, cucinate con attenzione da autori nuovi e di lungo corso e selezionate dalla terna dei curatori, in veste di editor alla Master Chef. Nell’impiattamento si è ripresa la formula classica delle selezioni di narrativa breve affidate al buon gastronomo Asimov: ogni racconto viene introdotto da sapidi aperitivi sul tema o sull’autore stesso, dei «dietro le quinte della cucina» destinati a solleticare l’appetito del lettore. Quanto al valore dei piatti proposti è difficile dare un giudizio netto: in primo luogo perché «dei gusti non si discute» e quindi ciò che può apparire salato ad altri è insipido, il piccante è intollerabile per molti palati ed è indispensabile per altrettanti. E poi perché l’arte del racconto è complessa, e per la fantascienza lo è ancora di più: pensate di dover condensare la visione di un mondo in un quadretto. O per restare in tema: servire una teglia di lasagne su un piattino da caffè.

Gli stessi curatori hanno preferito disporre le creazioni seguendo l’ordine alfabetico degli autori per evitare di condizionare i lettori nella sequenza negli assaggi. Personalmente ho trovato la prima portata, «Il calendario della semina» di Giulia Abbate, molto forte e ben drammatizzata. Il tema dei semi delle piante e della biodiversità è molto attuale e la modalità del racconto (un epistolare imperfetto composto con stralci di giornale e verbali) intriso di violenza istituzionale e miopia burocratica risulta molto efficace malgrado il retrogusto acidulo. Godibile anche la «Mens sana» di Donato Altomare, uno slalom croccante tra i concetti di cibi sani, cibi vietati e cibi legali. Per il robusto equilibrio tra atmosfere dell’antica tradizione e guizzi di nuova tecnologia, «La pecora perduta» di Davide Camparsi è tra i miei favoriti: narra l’amara vendetta di un allevatore di locuste in un panorama desertico dove dominano rassegnazione geneticamente modificata e i soprusi della casta. Si cambia totalmente registro con «Un gusto nuovo e forte» di Vittorio Catani, un racconto asciutto e condensato che sprigiona un’ironia malthusiana del paradosso portato a conseguenze estreme. Piacevole anche il «Future food distric» di Francesca Garello, un diario di bordo nello spazio con una rivelazione che segna l’avvio di una rivolta «morbida». Un’altra stella la appunto a «La stirpe dei corvi» di Francesco Grasso: la storia una insolita alleanza tra la saggezza contadina e un’intelligenza artificiale capace di combinare l’antico e il futuribile.

Aspri scenari alla «Dune» ambientati nel deserto padano affascinano ne «La confraternita dei rabdomanti» di Maico Morellini, così come incanta la fragrante fede nel progresso dell’umanità del professor Roberto Vacca, declinata in «Cambiano i tempi e noi cambiamo in essi».

Il punto di vista ribaltato è un trucco spesso usato nella fantascienza («La Sentinella» di Fredric Brown ha fatto scuola) e Giuseppe Perciabosco ne offre una versione ben cotta, con spezie alla Avatar, nel suo «La carne degli dei». Concludo la mia selezione con «Profumo di caffè» di Luigina Sgarro: un inno al buon cibo e ai piaceri della tavola che i ritrovati scientifici non possono sostituire. Semplicemente perché nutrirsi e mangiare non sono la stessa cosa.

Qualche piatto, l’avrete inteso, non mi ha convinto del tutto, ma lascio al lettore, supremo giudice, il piacere del self service al banco senza le mie sofisticazioni: ogni fetta di futuro ha per il palato un sapore esclusivo.

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