Il rapporto padre-figlia
nel libro di De Carlo

«Due di due» è probabilmente il suo romanzo più riuscito, vera efficacissima fotografia dell’Italia studentesca, giovanile, anarcoide degli anni Settanta, «Una di Luna» (La nave di Teseo, pagine 268, euro 18) è il suo ventesimo e sinora ultimo, probabilmente non altrettanto riuscito. Qui Andrea De Carlo affonda i suoi strumenti nella delicatissima materia del rapporto figlia-padre. La narrazione è tutta dal punto di vista di Margherita, che guarda e «vive» il genitore, Achille Malventi, con una sorta di apprensione protettiva e, insieme, insoddisfazione filiale. Un padre incapace di esprimere il suo affetto, dominato da un egocentrismo divorante e fatale, da mezzo orfano «alla continua ricerca di affermazione», troppo occupato a domare i suoi demoni e le sue insicurezze per occuparsi di quelle degli altri, fosse pure una figlia.

Margherita vive nell’aspettativa sempre frustrata di sentirsi capita, di essere al centro della sua attenzione, di percepire in lui un desiderio di comunicazione intima, sincera, profonda. Eppure, per misteriosi percorsi genetici, una sotterranea forma di comunicazione/identificazione c’è ed ha agìto, i due hanno punti in comune, la figlia, non a caso, ha ricalcato le orme professionali del padre, aprendo, anche lei, un suo ristorante a Venezia. Dopo la gelataia trasferita in Provenza, infatti, de «L’imperfetta meraviglia», questo Achille è uno chef abruzzese ottantasettenne trasferito a Venezia (sì, anche De Carlo, in qualche modo, si è fatto contagiare dalla chef-mania), prima formidabilmente sulla cresta dell’onda, poi in rovina, per essersi fatto prendere la mano da napoleoniche manie di grandezza.

Come per la gelataia, anche qui uno dei temi forti è il perfezionismo, la cura, quasi maniacale, del proprio lavoro. Ciò nella e nonostante la acciabattata volgarità, approssimatività, esibizionismo cialtrone del presente 2.0. Achille, insofferente e ipercritico, è un uomo perennemente in guerra col mondo. E tuttavia accetta di partecipare, come «chef-star» (sic!), a Chef Test, popolare programma televisivo di cucina, sedotto, se non galvanizzato, all’idea di godere finalmente di una pubblica celebrazione. Lo stesso De Carlo, del resto, che da piccolo si sentiva diverso dagli altri perché in casa non aveva la televisione, che da grande si è perlopiù tenuto lontano dal medium più popolare, non ha accettato di fare il giudice a Masterpiece, improbabile talent show televisivo per giovani scrittori? 

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