La piccola tigre della Tamaro
per ragionare sulla speranza

«Tristi le vite che non incontrano mai una parete. Ci sono pareti che si scalano con le mani, e altre con il cuore». È una fiaba, sì, ma non certo per bambini «La tigre e l’acrobata» di Susanna Tamaro (La nave di Teseo).

Con la sua prosa limpida e affilata, senza fronzoli, la scrittrice (23 titoli all’attivo e oltre quindici milioni di copie vendute) racconta una storia che è in fondo anche sua, quella di chi non si arrende a un percorso già tracciato da altri e va in cerca del proprio destino. L’autrice ha trovato la sua salvezza nella scrittura. E qui sceglie parole che scavano a fondo, si conficcano nell’anima, per disegnare un insolito percorso di formazione.

C’è un fondo di malinconia che attraversa tutte le 150 pagine di questo libro: ci sono una grande tigre, una vera regina della Taiga e i suoi due cuccioli. E una, la femmina, Piccola Tigre, che non riesce ad accontentarsi di ciò che vede: «La tua sete non è di quelle che si placa con l’acqua. La meraviglia genera in te domande, e le domande sono come l’acqua impetuosa di un fiume. Non puoi afferrare una goccia e dire: questa è davvero l’ultima». Piccola Tigre non obbedisce all’istinto. Mentre suo fratello cattura prede sempre più grandi, lei si incanta a osservare la natura, a riflettere sul mondo. La sua curiosità la rende fragile e speciale. Sua madre le mostra i pericoli, la mette in guardia, la protegge, le lascia infine il suo regno: vorrebbe tenerla lontana dall’uomo, che uccide le tigri senza averne bisogno, solo per invidia, per trasformare la loro pelle in un tappeto. Piccola Tigre, però, inquieta, si mette in cammino verso Oriente, vorrebbe avvicinarsi al sole. Incontra un amico prezioso che «la addomestica», un po’ come accade alla volpe del Piccolo Principe di Saint-Exupery. Stringe con lui un rapporto profondo, che diventa un nuovo apprendistato, la porta a superare i suoi limiti, ad aprire nuovi orizzonti: «Avere gli occhi e avere uno sguardo non è la stessa cosa.

Lo sguardo è legato al cuore, non conosce distanze né barriere. Gli occhi misurano ogni cosa, se trovano uno spazio vuoto, costruiscono subito un muro». Piccola Tigre, però, sperimenta anche il dolore, la prigionia, la gabbia: finisce in un circo, finché, grazie a un piccolo acrobata torna alla libertà.

L’ultima parte del romanzo è la più rarefatta e spirituale: «Non erano forse così tutte le vite? Essere cibo per gli altri. C’era qualcos’altro oltre a questo?». Mentre Piccola Tigre si avvicina al mistero più grande, quello dell’eternità, l’autrice ci porta per mano a ragionare sulla speranza come motore del mondo, sull’essenza della felicità, e sì, anche sulla fede.

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