Murakami, sei bravo
ma non diventare Coelho

Come un sospetto di accorta «facilitazione» di (pseudo) profondità. Di superficialità, banalità, a tratti, pur abilmente confezionata.

Come ci si avvicinasse timidamente all’abisso, lo si lambisse, ma senza forza e strumenti (volontà?) per affondare. Di Murakami Haruki esce una nuova, quarta raccolta di racconti: «Uomini senza donne» (Einaudi, pp. 222, euro 19). Ben fatti, per carità, ben congegnati, ben costruiti. Ma, appunto: un po’ troppo «congegnati».

«Tirar fuori frasi fatte tutti i momenti è uno dei miei problemi», dice l’Io narrante (non a caso) del secondo racconto. Sintomi, mutatis mutandis, e pur a un altro livello, di un po’ di coelhite. Distribuzione di massime al popolo. Aforismi di superficiale profondità, filosofia morale in pillole. La cosa funziona, visto il successo di entrambi.

«La musica ha il potere di resuscitare i ricordi con tale intensità, che a volte fanno male». Un sospetto, anche, di costruzione un po’ a tavolino, meccanica, a teoremino, di situazioni paradossali, extra-ordinarie, rovesciate, capovolte; astutamente quanto impotentemente allusive a un oltre, un mistero impalpabile, di corrispondenze, circostanze, suggestioni inspiegabili (tali restano).

Dopo «Kafka sulla spiaggia», anche qui un richiamo/omaggio al più autentico, disperato boemo: nel penultimo racconto, un mattino Gregor Samsa si sveglia e scopre con orrore di essere diventato un essere umano. Apre la raccolta un dittico beatlesiano, anche qui con richiami un po’ strumentali/di superficie: «Drive my car» e «Yesterday» (citazione di «obladì obladà» inclusa nel testo). Nel primo un attore assume un’autista. Sì, femmina. Accanto a lei gli capita spesso di pensare alla moglie, morta di cancro. Nonostante fra loro ci fosse un’intesa bellissima, lei lo aveva tradito più volte. La recita più impegnativa dell’attore professionista è stata vivere accanto alla moglie fingendo di essere all’oscuro di tutto. E, infine, è proprio l’autista ad insegnare all’attore che, nella vita, «tutti dobbiamo recitare». Grazie. Nel secondo racconto un tema potenzialmente molto fertile, la scissione di un ventenne di fronte alla prospettiva di una vita facile, piacevole, ma già prevedibile, già scritta, viene risolta, di nuovo, con un troppo meccanico gioco di paradossi e stratagemmi letterari. La complessità, insomma, il magma dell’inespresso e del soggiacente, ma anche la loro accorta banalizzazione, e/o riduzione a tessere di un gioco.
Vincenzo Guercio

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