Un Robinson naufragato
in una soffitta di New York

Un Robinson Crusoe nella soffitta del garage di casa sua. Un naufrago selvaggio tra le villette, in stile vittoriano, di un quartiere residenziale, a un’ora di macchina da New York. Follia.

Un Robinson Crusoe nella soffitta del garage di casa sua. Un naufrago selvaggio tra le villette, in stile vittoriano, di un quartiere residenziale, a un’ora di macchina da New York. Follia. Eppure Edgar Lawrence Doctorow, nel racconto d’apertura di «Tutto il tempo del mondo» riesce a far scattare una sospensione dell’incredulità, nonché una certa sospensione intesa come suspense, e un’identificazione quasi ansiosa con il protagonista. Circa lo stesso negli altri pezzi della raccolta.

Howard Wakefield lavora in uno studio legale nella Grande mela, status medio-altoborghese, macchina tedesca e conto di risparmio regolarmente rimpolpato, una moglie ancora attraente e due figlie adolescenti. Un uomo di sistema. Eppure, a partire da una catena di eventi del tutto casuale molla tutto e si mette a vivere da barbone, rovistando, per nutrirsi, nella pattumiera di casa sua e dei vicini, dormendo nel sottotetto del suo garage, isolandosi nell’oasi naturale del quartiere, salvaguardata per far vedere ai bambini come può essere un universo non asfaltato. Un «Fu Mattia Pascal» d’oltre Atlantico, tuffato nel mito di una wilderness suburbana. E, nella cultura americana, questa del ritorno alle origini, della vita primigenia, del confronto diretto con la natura e le necessità primordiali, della sfida per la sopravvivenza in condizioni neo-primitive, è una mitologia originaria, fondativa, dai primi pionieri al selvaggio West, da Jack London a Jack Kerouac, da Thoreau a John Muir, da «Man in the Wilderness» di Sarafian a «Into the Wild» di Sean Penn. Qui, tuttavia, declinata in modo davvero originale.

E questa situazione apparentemente assurda, di rinuncia alla propria identità, di abbandono di carte di credito e blocchetto degli assegni, chiavi di casa e della macchina - normale zavorra dell’uomo moderno - per andare a vivere tra carabattole polverose e topi muschiati, diventa un modo per scandagliare e far emergere l’imprevedibilità, la forza cogente, persino l’apparente assurdità di meccanismi profondi che guidano, spesso, le nostre scelte. Questo è, in definitiva, il collante dei racconti della raccolta, eterogenea per luoghi e per tempi, ambientati in diverse zone d’America se non in Europa, da fine ’800 a un momento imprecisato nel futuro. 
Vincenzo Guercio

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