Il virus HDV
marker tumorale

Pubblicata su Gastroenterology una ricerca condotta dai ricercatori di Gastroenterologia 1 della Fondazione Policlinico Mangiagalli. Lo studio è stato effettuato su 299 pazienti affetti da epatite Delta, seguiti per circa 28 anni.

L’infezione cronica da virus dell’epatite Delta (HDV), un virus altamente patogeno che necessita della presenza del virus dell’epatite B per i suoi meccanismi di replicazione e trasmissione, è un fattore di rischio per lo sviluppo di cirrosi e carcinoma epatocellulare. La persistente replicazione del virus Delta, inoltre, rappresenta l’unico fattore predittivo di mortalità correlata alla malattia di fegato.

E’ quanto emerge da una ricerca condotta dalla Dr.ssa Raffaella Romeo e dai ricercatori dell’U.O. di Gastroenterologia 1 della Fondazione Policlinico Mangiagalli, coordinati dal Prof. Massimo Colombo, pubblicata a maggio sulla rivista scientifica internazionale Gastroenterology.

Lo studio, condotto su un campione di 299 pazienti affetti da epatite Delta, 230 dei quali di sesso maschile, con un’età media all’arruolamento di 30 anni, seguiti per circa 28 anni nell’ambulatorio del Policlinico, ha dimostrato che la comparsa di cirrosi epatica si verificava con un tasso di incidenza annua del 4%, mentre i tassi di incidenza per lo scompenso epatico e lo sviluppo di carcinoma epatocellulare erano rispettivamente 2.7% e 2.8%. Le conclusioni dello studio sono pertanto che l’epatite cronica da virus dell’epatite Delta è caratterizzata da un lungo decorso, e da una discreta probabilità di evoluzione in cirrosi epatica.

L’analisi multivariata dei dati ha dimostrato che la persistente replicazione del virus Delta era associata allo sviluppo della cirrosi e alla comparsa di eventi maggiori quali lo scompenso, lo sviluppo del tumore e il decesso. A margine dello studio è emerso anche un dato epidemiologico di rilievo: l’epatite Delta, dopo un decennio di apparente declino, sembra sia tornata ad avere una certa rilevanza clinica nella popolazione dei soggetti portatori di virus dell’epatite B. Questo nonostante l’introduzione della vaccinazione obbligatoria contro il virus B in determinate categorie di soggetti (dal 1991, nei neonati e nei dodicenni), all’impiego sempre più diffuso di aghi e siringhe monouso e al miglioramento generale delle condizioni igieniche e socio-economiche, che avevano limitato negli ultimi anni, sia in Italia che negli altri paesi dell’Europa Occidentale, la diffusione del virus Delta ad un numero limitato di casi.

Oggi, invece, si assiste ad un graduale ritorno di questa malattia, dovuto soprattutto ai recenti ed imponenti flussi migratori provenienti dai Paesi dell’Europa Orientale e del bacino del Mediterraneo, luoghi dove l’epatite Delta rimane una importante causa di morbilità. Il virus dell’epatite Delta condivide le stesse vie di trasmissione di quello dell’epatite B, cioè per contatto con liquidi biologici infetti, e può essere acquisito anche in un tempo successivo rispetto all’infezione da virus B.

Questi dati suggeriscono, quindi, la necessità di porre maggiore attenzione nei confronti dei portatori di epatite B, coloro nei quali il virus Delta potrebbe colpire. In particolare sarebbe opportuno indagare la copresenza del virus Delta in caso di ogni nuova infezione da virus B o in caso di vecchie infezioni B che mostrino una recrudescenza clinica degli indici di funzionalità epatica, in assenza di modificazioni significative della replicazione del virus B. Questo allo scopo di avviare i pazienti alla terapia antivirale appropriata, per ridurne la morbilità e la mortalità ad essa associate.

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