Il bimbo inizia ad andare al nido?
Meglio lasciare spazio al papà

Al via i primi di settembre l’apertura degli asili nido in tutta Italia. Atteso e temuto da molti genitori, il periodo dell’inserimento è particolarmente importante, perché influenza il modo in cui il bambino si relazionerà con la scuola negli anni a venire.

«Dal primo approccio con il nido si determina, in parte, anche il rapporto positivo o negativo che avrà con la materna, le elementari e alle medie. È un momento cruciale che può provocare fobie, se non gestito bene». Lo spiega all’ANSA Silvia Amendola, psicologa dell’età evolutiva dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma che consiglia anche cinque «trucchi» per affrontarlo al meglio. In primo luogo, le mamme «non dovrebbero comunicare ansia, ma questo è quasi impossibile. Meglio quindi l’inserimento alternato con il papà, perché per loro è più facile lasciare i piccoli e anche per i figli è più facile salutare il papà che non la mamma. Il carico emotivo diminuisce».

In secondo luogo, «dire al bambino, se possibile, chi lo verrà a prendere e magari anche in che momento della giornata, se dopo la merenda o il sonnellino. È un modo che i bimbi hanno per controllare una situazione che, di fatto, non possono controllare».

È utile, inoltre, «fargli portare un pupazzo o una macchinetta da casa, sarà un punto di riferimento che aiuta la continuità casa-scuola. In questo senso, anche far frequentare amichetti dell’asilo aiuta a unire i due contesti».

Raccontare al piccolo cosa si sta per fare e creare una serie di gesti abituali va bene, ma «non bisogna passare ore a convincerlo di quanto “sarà bello” andare al nido. Parlare è importante, ma oggi si parla anche troppo».

Importante è, infine, comunicare spesso con le maestre e imparare a fidarsi. «Se non ci si fida, meglio cambiare scuola perché il bimbo percepisce e subisce molto il conflitto genitori-insegnanti».

A rendere così delicato questo momento il fatto che si tratta della prima vera separazione tra genitori e figli e spesso a risentirne sono più le mamme che i piccoli. «È facile si crei una sorta di senso di colpa - spiega l’esperta - perché non è scuola dell’obbligo e in genere lo si sceglie perché non si sa dove lasciare il piccolo. Questo è un carico emotivo già difficile da gestire».

A questo si può aggiungere «una sorta di riprovazione sociale da parte di famigliari che non condividono la scelta e magari si offrono di tenere il piccolo mentre i genitori lavorano. Questo problema alla materna è meno forte perché è consuetudine mandare i bimbi a scuola a tre anni».

Per molti esperti invece l’asilo nido viene considerato un aiuto per lo sviluppo psicologico. «I bambini con disturbi alimentari spesso risolvono i loro problemi con la mensa, un “rito” collettivo che facilita l’adozione di comportamenti corretti. Quelli che hanno difficoltà a rispettare gli orari riescono a migliorare la scansione del ritmo sonno-veglia. Il nido, infine, ridimensiona il senso di onnipotenza che un bimbo che cresce con un adulto alle sue dirette dipendenze può sviluppare. E - conclude Amendola - ne migliora le capacità di espressione, perché è costretto a faticare di più per farsi sentire».

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