Infiammazioni croniche, con il biosimilare
risparmiati oltre 40 milioni di euro

Con l’entrata in commercio del primo biosimilare di un anticorpo monoclonale (infliximab) approvato dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), il dibattito sull’impiego di questi farmaci nel nostro Paese è entrato nel vivo, sia per la complessità delle molecole sia perché rappresentano una nuova generazione di biosimilari, dal punto di vista dell’impiego clinico e del maggior potenziale di controllo dei bilanci in sanità.

Il convegno«Biosimilari. Prospettive future e strategie di gestione tra razionalizzazione della spesa e tutela dei pazienti», organizzato recentemente a Bergamo da Health Publishing and Services (HPS), con il grant incondizionato di Mundipharma, ha affrontato l’argomento a 360 gradi: dalle evidenze scientifiche e implicazioni cliniche al quadro normativo e regolatorio, dalla sostenibilità della spesa sanitaria al diritto alla salute dei pazienti. Tra i principali interventi, la presentazione di una recente analisi di budget impact sui risparmi generabili in Italia con l’impiego di infliximab biosimilare: fino a 48 milioni di euro nel quinquennio 2015-2019.

Infliximab e il suo biosimilare sono anticorpi monoclonali il cui impiego è approvato nellemalattie infiammatorie croniche immuno-mediate (Immune-mediated Inflammatory Diseases IMID), come artrite reumatoide, spondilite anchilosante, malattia di Crohn, colite ulcerosa, psoriasi e artrite psoriasica.

I farmaci biologici, tra cui infliximab, hanno rivoluzionato lo scenario terapeutico di queste patologie, migliorandone in modo significativo la prognosi; il costo elevato, tuttavia, ne ha finora limitato l’impiego. Oggi la disponibilità del primo biosimilare indicato per la cura delle IMID permette di liberare importanti risorse, che potrebbero essere destinate ad ampliare l’accesso dei pazienti al biotech. Permangono, tuttavia, resistenze sull’utilizzo dei biosimilari, dovute al loro essere «simili ma non identici» all’originator, eppure sono farmaci sottoposti a uno stringente iter approvativo da parte di EMA.

«Il biosimilare è sviluppato in modo da risultare sovrapponibile in termini di qualità, sicurezza, efficacia e immunogenicità al prodotto biotecnologico già autorizzato, il medicinale di riferimento - spiega Armando Genazzani, professore di Farmacologia, Università del Piemonte Orientale A. Avogadro -.Tra i principi attivi possono esservi differenze minime, ma una certa variabilità strutturale è intrinseca ai complessi processi produttivi che impiegano cellule viventi: la si osserva anche tra lotti differenti di uno stesso originator. Un biosimilare viene approvato solo se tali variazioni non ne influenzano qualità, sicurezza ed efficacia. L’EMA richiede, infatti, un ’esercizio di comparabilità, per dimostrare la sovrapponibilità analitica (chimico-fisica e biologica), pre-clinica (studi di farmacocinetica e farmacodinamica in vitro e in vivo) e clinica (studi sull’uomo) del biosimilare rispetto al medicinale di riferimento. Tale esercizio è richiesto anche ad aziende titolari di prodotti brand, in caso di modifiche nel proprio processo produttivo. L’iter di approvazione è molto rigoroso, nessun passo è automatico o privo di valutazione scientifica da parte delle Autorità regolatorie. Il biosimilare di infliximab, ad esempio, è stato sottoposto a 54 test e studi pre-clinici e a 2 studi clinici».

«Partendo da un dato di letteratura che prevede in Italia una prevalenza di IMID, a inizio 2015, pari a circa 2.268.000 pazienti (di cui 10.324 trattati con infliximab originator) e un’incidenza, ovvero i nuovi casi, di 107.372 pazienti (di cui 521 indirizzati alla terapia con l’anticorpo monoclonale di riferimento), i soggetti in cura con il farmaco biotech risulterebbero essere quasi 10.900 - illustra Carlo Lucioni, Direttore di ricerca HPS e autore dello studio -. La nostra analisi ha ipotizzato che il 5% dei pazienti già in cura con infliximab originator e il 50% dei nuovi pazienti eleggibili al trattamento con questo farmaco biologico impiegasse il biosimilare, che ha un costo inferiore del 25%. In tal modo, potremmo ottenere nei 12 mesi un risparmio potenziale di circa 3 milioni di euro, che consentirebbe di curare circa 260 pazienti in più. Prospettando nel periodo 2015-2019 una graduale crescita dell’utilizzo del biosimiliare(dal 5 al 25% dei pazienti già in terapia con infliximab originator e dal 50 al 90% dei nuovi pazienti candidabili), è stato calcolato un risparmio potenziale annuo nel 2019 pari a circa16 milioni di euro e uno cumulato nei cinque anni di circa 48 milioni, con i quali si potrebbe estendere il trattamento a quasi 4.000 persone in più, per 12 mesi. Il risparmio per ogni paziente trattato col biosimilare può essere stimato pari a circa 4.000 euro all’anno».

«Negli ultimi 15 anni, l’avvento delle terapie biologiche ha fatto realmente la differenza anche nell’ambito delle malattie infiammatorie croniche intestinali, modificando la prognosi di condizioni invalidanti come colite ulcerosa e malattia di Crohn - afferma Paolo Gionchetti, Medicina Interna dell’Ospedale S. Orsola Malpighi, Università degli Studi di Bologna -. Questi farmaci permettono di trattare i sintomi delle MICI e di intervenire sulla loro progressione, con conseguente riduzione di ospedalizzazioni e ricorsi alla chirurgia e un impatto positivo sulla qualità di vita dei malati. La disponibilità del biosimilare di infliximab offre oggi ai medici, ai pazienti e ai sistemi sanitari un’opzione di trattamento più accessibile. E’ auspicabile che i risultati degli studi clinici in corso nelle malattie infiammatorie croniche intestinali diano conferma dei positivi risultati di efficacia e tollerabilità ottenuti nei pazienti reumatologici».

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