L’infermiere, figura centrale
una professione difficile

C’è sensibilità, attenzione alla relazione e alla cura, e una forte responsabilità nella scelta di voler «fare l’infermiere».

Una scelta che si compie subito dopo la maturità, affrontando un percorso universitario fortemente professionalizzante: 3 anni di studio in cui la parte teorica viene, dopo pochi mesi di lezioni in aula, applicata alla pratica. Un percorso che dal prossimo anno accademico 2017/2018, può essere svolto a Bergamo dove Humanitas University, ateneo internazionale dedicato alle Life Sciences, ha attivato il corso di laurea triennale in Infermieristica in stretta collaborazione con Humanitas Gavazzeni e, per alcuni insegnamenti, con l’Università di Bergamo.

Trenta sono i posti per questo primo anno. La parte didattica in aula si svolgerà nei nuovi spazi della Casa del Giovane in via Gavazzeni, mentre i tirocini nel vicino ospedale Humanitas Gavazzeni.

«Per andare incontro alla esigenze degli studenti, abbiamo deciso di essere presenti anche a Bergamo, un’area per noi chiave dove ha sede un importante ospedale di Humanitas. È lo stretto legame tra la formazione e un rapido ingresso in ospedale uno degli elementi distintivi del nostro corso di laurea – commenta il professor Marco Montorsi, rettore di Humanitas University -, che incontra l’ interesse di tutti coloro che vogliono diventare professionisti moderni, altamente qualificati e orientati a lavorare in team».

L’infermiere è una figura centrale che completa il percorso di cura del paziente; si occupa dell’assistenza e della sua erogazione fatta in autonomia o in collaborazione con altre figure professionali, forte di competenze tecniche e relazionali sempre più affinate.

«Poter avere gli studenti del corso di laurea nel nostro ospedale – dice Katia Morstabilini, responsabile dei Servizi assistenziali di Humanitas Gavazzeni – ci permette di trasmettere conoscenze, ci offre la possibilità di crescere qualcuno in questo lavoro così difficile. Per noi di Humanitas Gavazzeni è una grande occasione: poter insegnare a questi studenti come “fare l’infermiere”».

La professione infermieristica infatti non è certamente un lavoro facile, è faticoso sia dal punto di vista fisico che psicologico e con la crescita dell’aspettativa di vita, la complessità assistenziale è decisamente più impegnativa. Ma le soddisfazioni che questa professione restituisce sono fortissime e motivanti. «Lo studente che esce dalla scuola superiore non ha nella maggior parte dei casi, per fortuna, esperienza di sofferenza e malattia – afferma Elisa Mologni, infermiera e coordinatrice infermieristica di Humanitas Gavazzeni - . E questo è il primo vero ostacolo che si trova di fronte lo studente del primo anno, solo dopo pochi mesi di studio a tavolino. Perché il tirocinio lo porta subito al letto del paziente di cui si dovrà occupare autonomamente, con il supporto di un tutor, rispondendo alla sua assistenza di base: igiene, idratazione, alimentazione, mobilizzazione, sonno e veglia. Poi, acquisendo ulteriori competenze, arriverà alla gestione di attività sempre più complesse».

Un forte impegno e coinvolgimento anche emotivo che, come dicevamo, è il valore aggiunto di questa professione. «Alla fine, quello che ripaga completamento del tuo lavoro quotidiano è vedere andar via dall’ospedale il paziente che sta bene – aggiunge Silvia Gelmi dei Servizi assistenziali di Humanitas Gavazzeni – e che ti dice grazie. Questa è la nostra vera ricompensa; sembra poco e banale ma per noi è una soddisfazione grandissima ». E il prossimo 12 maggio ricorre la Giornata internazionale dell’Infermiere, istituita in ricordo di Florence Nightingale, la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna. «L’assistenza - diceva la Nightingale - è un’arte e se deve essere realizzata come un’arte, richiede una devozione totale e una dura preparazione. È una delle Belle Arti. Anzi, la più bella delle Arti».

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