Ragazzi con iperattività
Fatiche ma anche risorse

«I disturbi dell’apprendimento vengono diagnosticati sempre più spesso e in età precoce». Così Paola Ranica, esperta del team Teentrainer, conferma l’aumento del fenomeno.

«L’attenzione di insegnanti e educatori – spiega - è fondamentale per una diagnosi adeguata, che consenta di attuare un Piano didattico personalizzato o, in situazioni più problematiche, un Piano educativo individualizzato (legge 104, in vigore da febbraio 1992), con attività su misura, strumenti compensativi e misure dispensative».

Quali sono i disturbi più diffusi?

«Dislessia, discalculia, disortografia e disgrafia, ma anche disturbi evolutivi non specificati, ADHD e ritardo cognitivo lieve. La Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 dà indicazioni sull’inclusione per tutti. Il termine Bes abbraccia una tipologia piuttosto variegata di alunni con certificazione di disabilità, difficoltà di apprendimento certificate, in attesa di certificazione, con una diagnosi clinica o che risultano non certificabili. Le sotto-categorie di Bes sono fondamentalmente tre: alunni con disabilità; con disturbi evolutivi specifici e con svantaggio socio-economico, linguistico e culturale».

L’Adhd (deficit di attenzione/iperattività) è difficile da riconoscere e accompagnare. Perché?

«È particolare. La diagnosi deve soddisfare i criteri dell’ICD-10 dell’Oms. Vanno monitorati attenzione, impulsività e iperattività. Neuropsichiatra, psicologo e logopedista devono fare un’osservazione clinica e usare le informazioni di genitori e insegnanti; sottoporre questionari specifici e valutare l’esame psichico, neurologico e il livello cognitivo. La famiglia si sente disorientata. Nei casi più gravi, il ragazzo con Adhd non riesce a svolgere semplici richieste giornaliere: ogni stimolo esterno è un’interferenza che non sa gestire. Quando ciò si combina alle richieste scolastiche, la situazione si mostra ingestibile, tanto da portare talvolta insegnanti e compagni a isolare il ragazzo. Eppure, questi ragazzi hanno grandi risorse ma non trovano il contesto per metterle a frutto».

Cosa si può fare?

«La famiglia può rivolgersi a professionisti che fanno da supporto e tramite con scuola, eventuale struttura specialistica, tempo libero. Il tutor deve insegnare al ragazzo a organizzare il quotidiano; monitorare con lui i risultati; acquisire informazioni utili per un’adeguata strutturazione delle attività, che tenga conto di età, disturbo e obiettivi, non solo scolastici. Fondamentale è la socializzazione, perciò occorre guidare il ragazzo a gestire le emozioni, comprendere pensieri e linguaggi, reagire in modo adeguato al contesto, prendere decisioni sulla base di ragionamenti su sé e l’altro o sul gruppo».

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