Calzatura fatta ad arte
firmata Louis Vuitton

Una scatola di scarpe, ma senza coperchio. L'ha pensata così Jean-Marc Sandrolini nel 2009 la nuova Manufacture de Souliers di Louis Vuitton, a Fiesso d'Artico, paesino tra Padova e Venezia: è qui che nascono le calzature icona della maison parigina.

Una scatola di scarpe, ma senza coperchio. L'ha pensata così Jean-Marc Sandrolini nel 2009 la nuova Manufacture de Souliers di Louis Vuitton, a Fiesso d'Artico, paesino tra Padova e Venezia, celebre per i suoi artigiani della scarpa, custodi di tecniche antiche che restano patrimonio manifatturiero e ricchezza del made in Italy. Basta costeggiare il fiume Brenta, lasciando i Colli Euganei alle spalle, e dopo qualche chilometro ti ritrovi catapultato in uno spazio dove l'arte si cuce con la moda, indissolubilmente. All'ingresso il benvenuto è lasciato a una gigantesca decolletè bianca all'interno della quale appare la Venere del Botticelli immaginata da Jean-Jacques Ory, mentre il chiostro ospita «L'Objet du Désir», una scultura di Nathalie Decoster, e «Priscilla», l'enorme scarpa di Joana Vasconcelos. Attorno i laboratori, dalle grandi vetrate e dai pavimenti in parquet, dove le scarpe prendono forma e diventano quegli accessori cult che raccontano la storia di un'azienda che con la pelle esaudisce da oltre due secoli i sogni di uomini e donne.

E tutto parte da qui, dalle grandi mani callose di Sergio, da 40 anni a cucire tomaie, un maestro con la resina che muove veloce sul cuoio; nei muscoli di Michela, vigorosa e veloce sui mocassini, tutti cuciti a mano; nella delicatezza di Chiara, maestra del pennello, mentre dà la giusta tonalità di colore agli ultimi sandali della collezione disegnata da Marc Jacobs, giocando con arte tra tinture e straccio per donare sfumature ed effetti vintage alla pelle. Ma non solo, perché prima e dopo di loro, ci sono altri artigiani, formisti, intagliatori, orlatori, ma anche designer e chimici: in 370 a raccontare la storia di queste scarpe, come in un concerto, dove la sinfonia la fanno i chiodi, i martelli, le pinze, la colla e gli strappi vigorosi del filo. Tra tradizione e tecnologia perché, mentre si realizza ancora la forma della scarpa in legno di carpino, partendo da un disegno dell'ufficio stile, poco più avanti ecco il laboratorio dove la camera climatica testa la reazione della pelle e della calzatura alle diverse temperature e all'umidità; dove si verifica la tenuta del pellame, la reazione degli interni della calzatura ai test del sudore sintetico. È qui che un flessometro studia la pelle e la sua elasticità, mentre un macchinario simula la camminata, un altro verifica il grado di trazione dei tacchi e un martelletto infierisce su splendidi stiletti dall'anima in acciaio con ben 14 mila colpi: una sofferenza per una «shoesaholic», una garanzia per Louis Vuitton, perché le scarpe da qui escano perfette.

Non si accettano sbavature, e lo si capisce dalla perfezione del luogo, dallo spazio che pare una galleria d'arte, con una zona espositiva dove una biblioteca celebra la storia della calzatura e in alcune teche sono custoditi alcuni modelli di calzature antiche provenienti da tutto il mondo. Poi c'è ancora l'arte con una trentina di opere, fra le quali spiccano i disegni di Andy Warhol e le sue celebri «Shoes or not to shoes», ma anche un'opera di Yayoi Kusama che, al posto degli amati pois, ha coperto la tela con una forma di piede ripetuta all'infinito. Nei giorni scorsi lo spazio è stata aperto al pubblico dal gruppo LVMH in occasione dell'edizione 2013 de «Les Journées Particulières». Un weekend di «dietro le quinte» per scoprire un coro di mani laboriose a servizio dell'eleganza dei piedi: questo atelier è infatti il centro di produzione mondiale di tutte le calzature della maison parigina e qui ci sono l'ufficio stile sempre in collegamento con la Francia e la direzione creativa capitanata da Marc Jacobs; qui ci sono i laboratori creativi, ma anche un centro di formazione per chi queste scarpe le venderà in tutto il mondo. Il tutto si affaccia al chiostro interno, la base di questa scatola di scarpe scoperchiata e fucina di idee. Quattro i laboratori produttivi, ognuno con un nome che rimanda a un tipo di pellame lavorato da Louis Vuitton o a un modello icona di borsa: Alma per le scarpe eleganti da donna, Speedy per le sneakers, Nomade per i mocassini e Taiga per le scarpe classiche da uomo.

Si parte dall'idea stilistica e dalla forma in legno che viene poi replicata anche in plastica e avvolta dal carta modello adesivo dal quale iniziare per la realizzazione di tutti i pezzi che formeranno la scarpa, dalla tomaia alla fodera, con tagliatori specializzati che sono i protagonisti di questa catena laboriosa. Che continua: si passa alle orlatrici che uniscono i componenti della calzatura, che va poi in mano a chi si occuperà della suolatura e del finissaggio. E ogni calzatura ha i suoi tempi, la sua storia, perchè inevitabilmente ogni pezzo è diverso dall'altro. Un valore aggiunto, speciale e straordinario. I numeri sorprendono: tre ore per cucire la suola di una scarpa da uomo, un'ora al paio solo per creare le sfumature di colore, un'altra ora al paio per la cucitura dei mocassini, tre ore per la lucidatura con cera d'api che isola il pellame dall'acqua; due giorni interi affinchè si chiuda il ciclo di «pittura» delle scarpe in alligatore da uomo che, nel servizio di personalizzazione del «made to order» (lanciato nel settembre 2011 e disponibile in Italia solo nel negozio di Milano Montenapoleone), arrivano in crust (bianco, ndr): la pelle viene quindi colorata, asciugata, stirata, fissata nella sua tonalità e lucidata. Mani, solo mani, tra la morbidezza e flessibilità della pelle, ma anche il rigore e la conoscenza di un mestiere antico e prezioso che mixa vecchi rituali e sano pragmatismo a precisione millimetrica e rigore. Dalle vetrate dei laboratori, ecco poi che si scorge la nuova tecnologia e sette robot si affiancano all'artigiano per le piccole rifiniture delle sneakers, come la pulizia della suola. Curiosi i loro nomi, quelli dei sette re di Roma, con un sorriso che sale spontaneo: tra Anco Marzio e Tarquinio Prisco, c'è sempre Sergio con le sue mani grandi e callose: a occhi chiusi, e con pinza e resina tra le dita, ci racconta il sogno di una moda preziosa e artigianale fatta ancora di ago e filo.

Fabiana Tinaglia

© RIPRODUZIONE RISERVATA