Gherardini, 130 anni e non sentirli
Riaprendo gli archivi, con nuovi look

Il prossimo anno spegne 130 candeline e intanto rifà il look ai negozi, ne apre di nuovi, spinge sul Messico, e rilancia borse che ha riportato in auge da un archivio ricco di bellezze e nuovi stimoli. Gherardini è un marchio di riferimento per l’Italia e la pelletteria, e sta vivendo una seconda giovinezza.

Il prossimo anno spegne 130 candeline e intanto rifà il look ai negozi, ne apre di nuovi, spinge sul Messico, e rilancia borse che ha riportato in auge da un archivio ricco di bellezze e nuovi stimoli. Gherardini è un marchio di riferimento per l’Italia e la pelletteria, e sta vivendo una seconda giovinezza. Merito della famiglia Braccialini che ha acquisito il brand nel 2007, maison proprietaria di altre griffe tra cui Francesco Biasia e l’ecologico Amazon Life.

È trascorso oltre un secolo da quando Garibaldo Gherardini e la sua famiglia, in primis la mogie Elvira e il figlio maggiore Gino, hanno aperto la prima bottega a Firenze, lavorando pelli per realizzare piccoli accessori. All’inizio erano astucci, lavorati a mano nel 1885, poi nel corso degli anni la bottega di via della Vigna Nuova si è convertita alla lavorazione di altri accessori di pelletteria, in particolare borse. Oggi Gherardini è total look: già nel 1973 i primi foulard facevano capolino nella collezione, con Twiggy bellissima testimonial del marchio a Pitti donna, e ora la collezione si è fatta più fresca, più colorata con Braccialini che sta lavorando sull’immagine, per riportare in auge il marchio, amato all’estero e in particolare in Giappone, primo mercato mondiale della maison toscana.

Famiglie geniali, quella di Gherardini prima e Braccialini dopo, e sempre attente a sperimentare, lavorare, testare nuove tecniche. L’artigianalità è stata la parola chiave di questa griffe, che ha coltivato da sempre la passione della lavorazione a mano e l’utilizzo di materiali pregiati: la pelle, il millerighe – tessuto idrorepellente misto poliuretano, cotone e poliestere – e il Softy, nella sua evoluzione, tessuto impermeabile, pratico ed estremamente leggero, caratterizzato dalla stampa del logo all-over. Tessuto che ha una storia fatta di ricerca e innovazione: «Fu commissionato da Pierluigi Gherardini all’inizio degli anni Settanta, come soluzione agli inconvenienti di tenuta tipici del pellame, come la pesantezza, l’insufficiente resistenza e la tendenza all’ingiallimento – spiega Lorenzo Braccialini, direttore marketing del marchio -. Prima nacque il Ghe Cotone, a metà degli anni Ottanta si è passati al nylon, per conferire più morbidezza e leggerezza, fino ad arrivare nel 2005 a una sua evoluzione, sempre più resistente alla luce e agli sfregamenti».

«L’amore per la sperimentazione e la creatività sono sempre stati elementi caratteristici dell’azienda – continua Braccialini –, spingendo sul lusso e agganciandoci al passato, in chiave moderna. Rinnovandoci, dando continuità pur non conformandoci, e lavorando sul passato di una griffe con una storia così speciale». Tanto che l’azienda da alcuni anni spinge sul recupero di pezzi dell’archivio della maison, rivisitati in chiave contemporanea attraverso l’utilizzo di materiali pregiati. «La possibilità di riprendere ciò che è nel passato di Gherardini, rinnovandolo ma mantenendo i tratti fondamentali, è la base di questo progetto di rilancio che stiamo affrontando con passione e dinamicità». Il primo modello a rientrare nel progetto «Archivio» è stata la Bellona, che risale al 1967: «La borsa-bauletto è stata identificata con questo nome perchè, talmente affascinante, aveva sedotto gli artigiani che la confezionavano, che la soprannominarono “bella figliola”».

A seguire la DodiciDodici, del 1959, che in questo caso prende invece il nome proprio dal codice numerico originariamente assegnatole. Borsa particolarissima, questa, caratterizzata dalla chiusura a molla, così come è impossibile non citare la Ghe Bag del 1970: concentra in un piccolo modello i must della griffe con l’originale chiusura con doppio cilindro, presente anche sugli attacchi delle doppie maniglie annodate.

Altro pezzo cult la Lisa Bag del 1970: creata come omaggio a Lisa Gherardini, questa è una borsa iperfemminile e dalle linee estremamente sinuose e morbide, tra le borse più raffinate di Gherardini. Come la «Pretiosa», famosissima per essere stata ispirata a un disegno di un’invenzione del Quattrocento realizzato da Leonardo da Vinci: solo 99 esemplari nel mondo, i fianchi sono a soffietto, ha intrecci in fettuccia in pelle, oltre a un manico in ottone sbalzato, fatto a mano, che riprende lo schizzo del disegno di Leonardo. «Il passato si abbina così a una nuova collezione vitale, che vuole dare una scossa il marchio e farlo crescere in Italia ma anche all’estero» spiega ancora Lorenzo Braccialini. Amatissimo in Giappone (il brand è stato di proprietà di una realtà del Sol Levante per alcuni anni, ndr), ora l’obiettivo di espansione mira alla Cina, l’India e il Sud America, in particolare il Messico dove Gherardini è già molto amato.

Un’operazione, quella di Braccialini, che spinge sulla distribuzione, la comunicazione, per riportare al centro della scena la storica «G». Per fare questo due, oltre all’operazione «Archivio», la maison sta spingendo sull’utilizzo sempre più moderno del mitico tessuto Softy. E se a qualcuno pensasse che è difficile far coesistere sotto lo stesso tetto due grandi nomi quali Braccialini e Gherardini, il responsabile marketing spiega le due strade ben distinte, la filosofia del prodotto e l’arte del creare: «Anzi, esaustiva sarà la mostra in programma a giugno in azienda, dove le due anime della stessa maison si presenteranno ufficialmente al pubblico».

Con pezzi storici, recuperati in giro per il mondo: «Ammetto di essere un appassionato del vintage, e spesso e volentieri cerco pezzi antichi, li archivio, faccio studi approfonditi». Come per un borsa rossa degli anni ’50 che una signora di un paesino del Nord gli mostrò un giorno: «Il manico in osso e legno intarsiato: ora fa parte del nostro archivio». Pronta per essere rieditata: «Perché non si inventa nulla, ma bisogna saper fare gli artigiani, rielaborare idee, credere nei progetti». Ma, continua Braccialini, servono anche gusto e passione: «E anche un po’ di cuore».

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