Nel cuore del Patronato c’è Codesign
Donne (e mani) che creano futuro - Foto

Si chiama Codesign: cartotecnica, accessori di arredamento e moda in un laboratorio dove al centro ci sono donne che tornano a vivere.

Ci sono interviste che richiedono tempo e sguardi per spiegare una storia. E bisogna guardarle in faccia queste donne, bisogna guardare le loro mani che si muovono veloci sulla macchina da cucire. Si deve osservare il loro sguardo che si abbassa e racconta del passato. Poi c’è un sorriso, aperto e sincero, che guarda al futuro.

C’è tutta la speranza delle donne nel progetto di Codesign, laboratorio sociale e formativo di moda e design, nato all’interno della Cooperativa del Patronato San Vincenzo di Bergamo e fucina di idee creative che passano dalla ceramica alla cartotecnica fino alla realizzazione di una linea di accessori moda che il prossimo settembre si estenderà in una linea di abiti da donna. In campo ci sono due giovani bergamasche e un’idea. «Francesca Moroni e Barbara Ventura mi hanno presentato il progetto – spiega Grazia Zucchetti, presidente della Cooperativa del Patronato –. Abbiamo avviato il laboratorio, che punta all’artigianalità, al lavoro delle mani. All’interno della nostra cooperativa, tra l’arte e la grafica, mancava un “comparto” più modaiolo e di design e soprattutto un’idea prettamente al femminile».

E Codesign sono le donne, quelle che hanno un buon motivo per risollevarsi, per ripartire da capo. Partendo da una idea: «I progetti sono sempre condivisi, rielaborati dal gruppo – spiega Francesca Moroni –: chi con la praticità della manualità, chi con un’emozione, una proposta creativa» spiega Francesca. Nascono borse, accessori in ceramica, manufatti.

Un progetto sociale attraverso la moda, che fa bene. Che ha permesso a Pina, ex tossicodipendente e con una vita spezzata già in adolescenza, di avere un lavoro: «In una comunità ho imparato a cucire. Ora per la prima volta nella mia vita mi sento parte di qualche cosa e ho imparato a fare pace con me stessa». E prende in mano una tazzina di ceramica che è attraversata da una spaccatura, «riparata» con l’oro secondo la pratica giapponese Kintsugi. «Sono le ferite che spezzano, ma che ti fanno anche più forti e, se curate, ti rendono unica, speciale». Sorride Mouniya, silenziosa mentre cuce attenta. Ha una malattia cronica, è arrivata dal Marocco per un futuro migliore, per sentirsi meno sola. Un percorso duro, il dolore di non avere nessuno, di essere inutile: «Sto trovando la mia strada» e lo dice con degli occhi profondi e malinconici.

Perchè sono queste le donne dentro i tessuti delle borse di Codesign, nelle lampade e ceramiche, nei tanti quaderni serigrafati e rilegati con tecniche giapponesi che Francesca, pazientemente, insegna al gruppo. Donne complicate, sofferenti, geniali e ricche di emozioni da tramutare in un lavoro che ridà fiducia, che crea un futuro. Perchè ci sono storie difficili, a volte drammatiche. Ci sono incontri che spezzano il cuore ma che gridano aiuto, per trovare una strada da percorrere. E proprio all’interno di Codesign c’è quello di D-Tantemani, a favore della fragilità femminile: come le 12 donne hanno frequentato questo laboratorio tessile e creativo, 25 detenute frequenteranno un workshop la prima settimana di luglio, dentro il carcere di Bergamo, alla scoperta di nuove tecniche laboriose per dare alla carta una seconda vita, che è in fondo la metafora dell’esistenza di molte. «Il progetto D-Tantemani lavora in sinergia con la Serigrafia TanteMani per un prodotto compartecipato – continua Grazia Zucchetti –, in un ciclo virtuoso che vede la cooperazione di più realtà del Patronato San Vincenzo».

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