La «senzafreni»
fa tappa a Sarajevo

SARAJEVO (BOSNIA-ERZEGOVINA) La Panda «senzafreni» ha rallentato, ma non per colpa sua. Hanno prevalso la stanchezza e il desiderio di visitare Sarajevo. Il mio crollo fisico deriva dalle due notti insonni che hanno preceduto la partenza e più in generale da dieci giorni in cui i preparativi mi hanno prosciugato le energie. Così Marianna è diventata più pilota che navigatrice, visto che diverse volte mi stavo addormentando alla guida.

Lunedì 21 luglio l’idea era quella di spendere qualche ora a Dubrovnik, la perla della Dalmazia, ma abbiamo preferito non allungare ulteriormente il percorso, considerato che avevamo già deciso d’inserire nell’itinerario Mostar e Sarajevo che non erano proprio sulla strada ideale per Istanbul. Dopo i 720 km di domenica, frutto dell’adrenalina, lunedì ne abbiamo percorsi soltanto 248, ma è stata una sofferenza: mi è scoppiata la stanchezza e Marianna in Bosnia è stata dispensata dalla guida perché non ha la patente internazionale, documento forse necessario (abbiamo avuto informazioni contrastanti). Così, a una ventina di km da Sarajevo, ero proprio cotto e ci siamo fermati per un pisolino. Siamo arrivati quasi a mezzanotte e abbiamo deciso di dedicare martedì al riposo e a Sarajevo, una città che desideravamo ardentemente vedere.

Lunedì eravamo stati a Mostar, il tempo di godere della vista del Ponte Vecchio, inaugurato dai turchi nel 1566, distrutto nei bombardamenti del 1993 e riconsegnato al mondo nel 2004 dopo una ricostruzione certosina in cui sono stati utilizzati i metodi e la pietra del XVI secolo. In effetti è un ponte unico, che ispira leggerezza ed eleganza con la sua forma decisamente arcuata e delimitata da due torri. A Mostar i segni della guerra sono ancora visibili, visto che non di rado ci si imbatte in case sventrate o ridotte a un colabrodo dai colpi di mortaio.

A Sarajevo la ricostruzione è stata quasi totale, ma a ricordare il passato tragico sono i cimiteri nati sulle colline: uno si sviluppa, praticamente senza recinzioni, su un prato scosceso accanto alle case, forse a significare l’estrema vicinanza tra la vita e la morte. La macchia bianca che s’incunea nell’abitato, vista dall’alto, suscita emozioni contrastanti: sembra un inquietante monito per il futuro ma regala anche un sentimento di serenità e pace. Sarajevo non è però soltanto cimiteri, anzi: è una città in fermento, ricca di cultura. Nel quartiere di Bascarsija è come entrare in un bazar ottomano. C’è una serie innumerevole di bar all’aperto, dove sorseggiare il caffè bosniaco in un’atmosfera rilassata, di ristorantini nei quali gustare il cevapcici (carne di agnello o vitello macinata alla griglia) accompagnato da una mezza pagnotta di somun (pane), e ci si può imbattere in artigiani al lavoro con cui scambiare due parole.

A Sarajevo, in prevalenza musulmana, convivono religioni diverse e si possono vedere donne con il velo, così come con un look provocante. In una via abbiamo incrociato una moschea con il suo minareto svettante, una chiesa ortodossa, una sinagoga ebraica e una chiesa cattolica. Ma ormai è mercoledì mattina, è tempo di far rombare di nuovo il motore della Panda. Ci attendono due giorni di trasferimento abbastanza intensi, anche perché Sarajevo è fuori dalle rotte autostradali e le strade in quest’area sono abbastanza tortuose. Non sappiano ancora se, dopo Bosnia-Erzegovina e Serbia, attraverseremo Macedonia e Grecia o Bulgaria per approdare a Istanbul, speriamo giovedì sera. Vi racconteremo. Intanto, da Bergamo una buona notizia. Il team «Spandati» ha ottenuto il visto per l’Iran e martedì si è dunque lanciato nell’avventura: raggiungerà Istanbul via Belgrado nella giornata di venerdì.

Marco Sanfilippo

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