Europa, se ci sei
batti un colpo

Risulta difficile prevedere compiutamente, dopo il Brexit, quali saranno le conseguenze economiche, politiche e sociali per Inghilterra ed Europa. È stata però proprio l’Inghilterra, da subito, a subirne i danni maggiori. Sul piano economico, con una forte svalutazione della Sterlina (20-30 per cento), che comporterà un consistente aumento dei prezzi e prevedibili difficoltà sul piano commerciale, tanto che alcuni imprenditori hanno già annunciato delocalizzazioni di stabilimenti in Europa.

Sul piano politico, con l’intenzione espressa da Scozia e Irlanda del Nord – che hanno votato per la permanenza in Europa – d’indire un referendum per la separazione dalla Gran Bretagna. Sul piano sociale, con la ribellione dei giovani e della gran parte degli intellettuali, che hanno massicciamente votato per il «remain». I giovani rimproverano agli anziani di aver deciso per il loro futuro, privandoli di prospettive che l’Europa avrebbe loro assicurato.

Molti intellettuali mettono in evidenza la pericolosità del voto che ha portato al Brexit, perché influenzato da un’ondata populista sostenuta da esponenti di estrema destra, illiberali e xenofobi come Farange. Va ricordato, peraltro, che l’Inghilterra, in virtù della sua lunga tradizione coloniale, ha sempre nutrito un complesso di superiorità nei confronti del Continente. Ciò è stato, a suo tempo, inequivocabilmente messo in evidenza da una frase di Winston Churcill: «Quando la Manica è in tempesta l’Europa rimane isolata». Non a caso, gli inglesi hanno aderito all’Europa in un secondo tempo (1973), soprattutto per le opportunità offerte dal mercato europeo, ma pretendendo di mantenere la loro moneta.

Negli anni successivi, per molti aspetti, la convivenza si è rivelata complicata dalla continua richiesta di trattamenti speciali. Fino all’esplosione del problema immigrati e alla discussione sulla cessione di sovranità da parte degli Stati nazionali che, dietro forti pressioni, hanno costretto Cameron a indire un referendum per la permanenza in Europa.

Ora, la preoccupazione del governo inglese sarà quella di conservare il più possibile i benefici derivanti dall’appartenenza al mercato europeo. Ma ciò non potrà non avere un costo, così come deciso a suo tempo per la Norvegia. Per quanto riguarda l’Europa, sul piano economico aumenteranno le difficoltà per le imprese esportatrici, svantaggiate dalla svalutazione della Sterlina, ma la situazione ritroverà, nel tempo, compensazioni adeguate. Le forti reazioni negative delle Borse europee subito dopo il voto hanno già registrato qualche attenuazione ed è prevedibile che ai forti ribassi seguiranno progressivi rialzi che porteranno al recupero della maggior parte delle perdite. Per quanto riguarda le conseguenze politiche, va tenuto conto che, votando per il Brexit, gli inglesi hanno in gran misura dato corpo alle istanze di ultra-destra di Nigel Farage. Istanze che stanno prendendo sempre più piede anche in molti Paesi europei, tra cui il nostro, per le prese di posizione assunte dalla nuova destra di cui si fa promotore Salvini.

Ad alimentare queste istanze nazionaliste ha certamente contribuito l’incapacità dimostrata dall’Europa nel regolare il preoccupante aumento dell’immigrazione, specie quella clandestina, e il fallimento delle politiche rigoriste poste in essere per contrastare la crisi, che hanno ostacolato un’efficace ripresa dell’economia. C’è da augurarsi, allora, che le vicende inglesi provochino un salutare shock in grado di prevenire ulteriori disgregazioni attraverso un nuovo e decisivo impegno per il rilancio del progetto europeo.

Un importante segnale in questa direzione è già venuto dalla riunione di lunedì a Berlino tra la Merkel, Hollande e Renzi, nel corso della quale è stato stabilito che al Consiglio d’Europa spetterà di dare le linee guida alla Commissione – cioè più poteri agli Stati nazionali meno a Bruxelles- su come definire i rapporti con l’Inghilterra e sulla promozione di nuove importanti iniziative economiche e politiche. Sul piano economico si auspica, da tempo, una progressiva revisione del «fiscal-compact», che porti ad escludere, per almeno tre anni, le spese per investimenti pubblici dal calcolo complessivo del debito, in modo da favorire un aumento dell’occupazione e una ripresa del Pil. Non meno importante sul piano politico, potrebbe essere la rivalutazione della proposta avanzata da Mario Draghi di nominare un ministro delle Finanze europeo, che potrebbe portare alla realizzazione di misure di politica economica e fiscale uniformi per tutti i Paesi.

È tempo, di fronte all’incalzare di eventi possibilmente devastanti, che i più autorevoli Paesi europei – tra cui finalmente è presente anche l’Italia – si mostrino in grado di rivitalizzare quel progetto solidale europeo fortemente voluto da Schumann, Adenauer e De Gasperi, sul quale si fondano ancora le speranze di molti convinti democratici.

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