Mura d'argilla, colori e profumi
Viaggio a Marrakech «la rossa»

Marrakech “la rossa”, antica capitale, oggi è la quarta città del Marocco ma resta forse la più ricca di fascino. Siamo a 150 chilometri dal mare. Oltre le lunghe mura merlate della città si vedono le cime dell'Atlante, una catena montuosa che supera i 4 mila metri (a Oukaimeden d'inverno si scia): da quelle nevi scendono i fiumi e i canali che irrigano i campi e rendono fertile quest'area in cui vive un milione e mezzo di persone.

Le mura d'argilla, color ocra, non sono alte ma cingono per più di 10 chilometri una Medina che ha dieci porte d'accesso: la più bella e famosa è Bab Aguenaou, un'apertura a forma di ferro di cavallo che ne contiene un'altra a tutto sesto. Le porte delle moschee invece hanno forma di serratura: per i musulmani sono la via d'accesso per entrare in Paradiso. Tutte devono avere un minareto. Quello di Marrakesh, il Minareto della Koutoubia è imponente: alto 70 metri, ha in cima tre grosse sfere di rame. Si dice che ai tempi dello splendore della città, circa 500 anni fa, fossero d'oro. Servivano alle carovane di nomadi e di mercanti per orientarsi: nelle notti di Luna, là dove vedevano brillare in lontananza quella triplice luce riflessa c'era la “città rossa”, il meraviglioso mercato occidentale del mondo arabo.

Già da decine di anni i ricchi europei si sono comprati le antiche case con cortile di Marrakech, i riad: abitazioni per nulla appariscenti all'esterno – come insegna l'islam – ma ricchissime nelle stanze private che guardano i lussureggianti giardini interni. Vietate le raffigurazioni di uomini e animali l'architettura islamica, che qui è particolarmente vicina a quella andalusa-spagnola, si è sbizzarrita in calligrafie geometriche che ricreano un'estetica a suo modo barocca.

Anche l'architettura d'interni marocchina è molto elegante. E' caratterizzata soprattutto dall'uso sapiente della luce: grate di legno lavorato filtrano alle finestre quella solare, creando nelle stanze un'atmosfera molto intima e particolare. Passare dalle luci abbacinanti delle strade bruciate dal sole estivo all'interno degli edifici è come cambiare dimensione. Lampadari in rame, ottone, ferro, assieme a pouff e tappeti sono i tipici elementi di un arredamento stile marocain che oggi è diventato molto di moda anche nelle case della buona borghesia di Parigi o di Roma.

Marrakech ospita alcuni alberghi leggendari, come La Mamounia - amato da Churchill e Yves Saint Laurent, oggi un po' in ribasso – o Les Jardins de la Koutubia. Splendido, per gusto e atmosfere il Sofitel Palais Imperial: la fontana che vi accoglie all'ingresso del palazzo moresco, nella quale galleggiano centinaia di petali di rosa bianchi, nelle penombra spande fragranze orientali fresche e profonde che non si dimenticano.

Ma quello che non si può tralasciare a Marrakech è una visita a piazza Djemaa el-Fna, una delle più famose del mondo arabo. Il suo nome significa “raduno dei morti”, o forse piuttosto “assemblea del Nulla”: in passato è stata a lungo teatro di esecuzioni capitali. Nel pomeriggio qui si tiene un mercato all'aperto nel quale si scambiano le merci più svariate: vestiti, stoffe, ceste di frutta secca, uova di struzzo, spremute d'arancia. C'è chi decora i corpi con l'henné - l'antica arte del tatuaggio rituale oggi si mescola con la body-art -, chi strappa i denti doloranti con le pinze. Abilissimi gli incantatori di serpenti: se ti avvicini ti mettono un cobra al collo, scattano una foto con la tua macchina e poi ti chiedono una cifra eccessiva in euro, che in quelle condizioni non sei in animo di rifiutare.

Lo spettacolo più bello però è all'imbrunire. Sulla Djemaa el-Fna escono i musicisti, i cantastorie, gli acrobati; chioschi vendono montagne di lumache di mare come se fossero pop corn: fast-food da spiluccare godendosi il fresco. Il suk, accanto alla piazza, è sempre aperto e sempre pieno di italiani: ai marocchini non stanno sempre simpatici perché contrattano fino all'ultimo prezzo, come loro. Ragazzini di pochi anni chiedono l'elemosina di qualche moneta per ore, fino a sfinirti. C. D.

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