Asiago, l'Altopiano del silenzio
fra storia, tradizioni e malghe

Sembra di entrare in un altro stato, appena si mette piede nell’Altopiano di Asiago. Un’altra aria, un altro clima. Altra gente che rispetta il silenzio e ama la conversazione. Il vociare vacuo e i rumori inutili li si è lasciati giù al piano, prima di quella decina di ripidi tornanti che ti porta in quello che una volta era uno stato a sé, fatto da una reggenza di sette piccoli comuni che per una volta tanto, in questa Italia litigiosa, hanno dimostrato che si può andare d’accordo. E loro, gente di montagna, seria e pratica, si sono autogovernati per mezzo millennio.

Tutt’altro che vaso di coccio tra autentici vasi di ferro come potevano essere la Serenissima Repubblica di Venezia e il grande colosso che stava sia di qua sia di là delle Alpi. E come un piccolo stato, l’Altopiano di Asiago ancora oggi, in un certo senso, si comporta. Coltiva le sue eccellenze e offre la sua ospitalità a chi la sa apprezzare. Gli altri si astengano, per favore. Ma chi sa apprezzare, non smette di meravigliarsi di quel che l’Altopiano offre: dalla vita rilassata senza pazza folla, con solo un pizzico di snobismo che sottolinea l’antica nobiltà nelle ore canoniche del passeggio e dell’aperitivo prima di cena. Tutte cose che lassù ti sembrano normali, ma di cui senti la mancanza appena lasci l’altopiano per tornare alla vita di tutti i giorni giù al piano. Per esempio vengono a mancare quegli ampi spazi con vista sulle montagne le cui cime sembrano – proprio perché si è su un altopiano – a portata di mano.

Montagne belle, ma che hanno anche un grande significato nella storia italiana della prima guerra mondiale. Ogni anno meta di un pellegrinaggio laico e religioso di chi arriva fin su alle vette dell’implacabile carneficina che ha riempito cimiteri e sacrari. Come quello di Asiago che da solo ne contiene 54.289. Le montagne ora però portano altri suoni. Quello degli animali al pascolo nelle 77 malghe che occupano vari livelli di altitudine: da appena sopra i mille metri arrivano fin quasi all’impossibile 2300 metri. “Metà della malghe – spiega Giambattista Rigoni Stern, figlio dell’autore del Sergente della neve – lavorano direttamente il latte, le altre conferiscono a caseifici”. Rigoni Stern si presta volentieri a fare da guida naturalistica a chi si mostra interessato di conoscere i vari aspetti della sua terra, e mentre racconta quelli non manca di dare notizie inedite sul suo grande padre, scomparso nel giugno dello scorso anno.

Ti spiega perché i formaggi prodotti in malga hanno quell’inconfondibile e ineguagliabile sapore: “Il primo segreto sta nell’alimentazione della vacca che in quota trova una varietà infinita di specie vegetali, impossibili da trovare altrove, e poi c’è la bravura del casaro che in sé raccoglie tutta la sapienza antica di un prodotto vecchio come il mondo”. E se si vuole sapere ancora di più sul formaggio Asiago d’Allevo e dei suoi vari gradi di invecchiamento ci si può rivolgere ad Antonio Pozzan direttore del Consorzio per la tutela del formaggio Asiago che sarà felice di farlo. Come da tre anni è orgoglioso di organizzare per conto della presidenza del Consorzio della comunità montana e dei vari sindaci e autori, oltre ovviamente ai malgari, il “Concorso per il miglior formaggio Asiago vecchio e stravecchio prodotto in malga”. Quest’anno, sotto la presidenza di Bruno Morara, per la giuria non è stata una scelta facile. “Tutti e ciascuno hanno una loro caratteristica di eccellenza”, ha detto Morara. “Al di là della qualità del formaggio che anno dopo anno è sempre più apprezzato (è il quinto più venduto in Italia) - ha detto il presidente della comunità montana, Giancarlo Bortoli – si riscontra con piacere che è tornato l’orgoglio d’essere malghesi.

E la festa di San Matteo il 21 settembre quando i malgari tornano giù con le loro mucche agghindate e infiocchettate, in ogni comunità che attraversano li aspetta una festa”. Bruno Morara è una specie di gran sacerdote del formaggio Asiago: “Sia quello da meditazione, sia quello abbinato con miele, marmellate e buon vino”, dice senza false modestie da quel grande affabulatore che è. Inutile dire che la sapienza degli abbinamenti si è oltremodo specializzata, in particolare lo fanno ristoranti di nome come “Da Riccardo” e “La Bocchetta” dove si accompagna l’Asiago ai prodotti della casa vinicola Maculan di Breganze.

Fiorenzo Barzaghi

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