Stop alle Slot
Lunedì 06 Maggio 2013
«Chi gioca alle slot ha altri problemi
Ma è necessario capire quali»
Lo psicologo Enrico Coppola è presidente della Comunità Aga di Pontirolo Nuovo e responsabile dell'annesso Servizio multidisciplinare integrato, accreditato in Regione e che attualmente segue 28 persone (altre 10 hanno già terminato il percorso). Lo Smi, che ha un contratto con l'Asl di Bergamo, è attivo da un anno: il percorso dura 6 mesi, prorogabili.
Dottor Coppola, qual è il problema principale di chi si rivolge a voi perché malato di gioco?
«È fondamentale che prenda coscienza del disagio e trovi una motivazione per smettere, che noi cerchiamo di fornire anche attraverso i familiari, che coinvolgiamo nel percorso. E poi chiediamo un cambiamento netto dello stile di vita».
Ovvero?
«Si cerca di riempire con altre atL tività o interessi gli stessi momenti che erano dedicati al gioco».
Per esempio?
«Solitamente proponiamo attività di volontariato, oppure di frequentare una palestra. Dopodiché solitamente subentra il cambiamento».
Ma perché queste persone iniziano a giocare?
«Perché all'inizio provano piacere, soddisfazione e pure evasione».
Evasione da cosa?
«Spesso da problemi personali. Significa che il benessere era già stato perso ancor prima di iniziare a giocare. Il gioco va quindi a inserirsi in una situazione che già non funzionava. Si deve individuare quel problema e risolverlo».
Dunque si tratta di un aggravamento di una condizione sociale o personale già di per sé disagiata?
«Generalmente sì, anche se si aggiunge pure un problema oggettivo sociale: queste macchinette sono dappertutto, sono uno stimolo continuo. C'è stato un aumento esponenziale».
Come mai questa diffusione in un periodo di crisi?
«Perché la gente crede e spera di risolvere i propri problemi in questo modo. Invece non è assolutamente così».
E perché c'è chi si ammala?
«Perché in queste sale ogni tanto si vede qualcuno che vince: chi inizia a giocare, però, non sa che questi soldi verranno poi spesi di nuovo. In realtà non si vince mai niente: è il banco che vince sempre. Però lo stimolo c'è, anche perché queste macchinette hanno colori e suoni che attirano».
E tra l'altro giocare non è nemmeno illegale, pur creando dipendenza grave.
«Sì, chi gioca si giustifica proprio così: non è illegale, lo fanno tutti, non fa male. C'è una normalizzazione del problema. Rispetto alle dipendenze dalle sostanze, dove si sa che è illegale, il gioco è gestito e accettato anche dallo Stato».
E come si potrebbe risolvere questo controsenso: lo Stato da un lato fa aprire le sale slot e ci guadagna, dall'altro spende dei soldi per far curare chi ne diventa schiavo?
«È come con l'alcol e le sigarette: si sa che sono le prime cause di morte al mondo, però vengono vendute».
C'è qualcuno che è venuto a farsi curare e avete saputo che è poi ricaduto nella spirale?
«Dei 10 che hanno terminato il percorso, due sono ricaduti. In quei casi abbiamo riavvicinato i familiari, inseriti in gruppi pensati proprio per loro».
I familiari che ruolo hanno nel percorso di guarigione?
«Fondamentale. Per esempio possono intervenire sul conto corrente di un giocatore che non vuole smettere. Tra l'altro è importante anche far prendere coscienza del problema proprio ai familiari, perché molti sottovalutano che si tratta di una malattia con disturbi di tipo psicologico e psichiatrico, che sfociano anche in ossessioni: c'è chi non dorme la notte per i debiti e le preoccupazioni. Oppure si dà all'alcol».
Un mix micidiale. «Purtroppo sì. Anzi, molti giocatori prima si ubriacano e poi, indeboliti dall'alcol, spendono tutto alle slot».
Fabio Conti
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