Tutti insieme contro le slot

di Giorgio Gandola
Non serve più neppure la leva. Basta stare lì, immobili e catatonici, a osservare palme, ananas e carte da gioco che girano. Aspettare che si allineino e vincere qualcosa o perdere tutto dopo avere annullato la volontà e forse la dignità.

Non serve più neppure la leva per far funzionare le nuove slot machine che stanno invadendo a macchia d'olio le nostre città, i nostri paesi, i nostri luoghi pubblici, le nostre vite. Basta un pulsante. Noi schiacciamo, automi fra gli automi. Qualcuno vince, tutti gli altri perdono. È la nuova droga legalizzata, certificata da una legge dello Stato che determina anche i metri di distanza (anzi di vicinanza) da abitazioni, luoghi di aggregazione, oratori.

È il retrobottega di un Paese che non ha più freni e limiti, che si spegne come istituzione quando pensa di risolvere i problemi dei cittadini dicendo loro: giocate. Come se fosse il salvagente contro l'uragano economico, come se rimanesse l'ultimo ammortizzatore sociale di uno Stato allo sbando. Giocate, qualcuno si salverà. Lo Stato cari lettori. È lo Stato ad essersi inventato questa polpetta avvelenata per salvare se stesso con la percentuale dei diritti di lotteria. Siamo tutti carburante, marinai di sentina per tenere in piedi il moloch. Per favore un'altra monetina.

Slot machines, sta diventando una febbre. Le vediamo dappertutto, notiamo cambiare rapidamente la geografia dei nostri quartieri e la toponomastica dei negozi ai quali siamo affezionati. Chiude la libreria, apre la bisca. Arranca il fruttivendolo, pronta cassa arriva la sala slot. Involucri di alluminio anodizzato, neri con i vetri opachi e le carte da gioco impresse sulla porta. Vent'anni fa erano i sexy shop, oggi il miraggio è il denaro che manca. Lo squallore non resta sulla porta, entra. E dentro quelli che i sociologi chiamano «uomini senza identità» si perdono davanti a uno schermo che promette soldi. Così i papà si giocano lo stipendio, i nonni la pensione, uomini e donne perdono il valore e il calore della socialità. Ciascuno attratto dal suo schermo, ciascuno indifferente alla disperazione di chi, immobile, gli respira a fianco.

Ma non è finita, questo piano inclinato porta più giù, dove stanno i più fragili, i più deboli. Studenti, giovani senza lavoro, ragazzi annoiati che vogliono provare. Loro non si azzardano a oltrepassare le porte della bisca, a loro basta il bar. Il luogo dello spritz, della chiacchiera, dello sfottò col motorino parcheggiato fuori diventa il luogo della tentazione e della sconfitta. Molti bar hanno aperto alle slot, ai videopoker, alle macchinette.

L'angolo dell'azzardo alla portata di tutti, per quattro soldi in più. Pericolosissimo, perché il contesto è innocuo, confidenziale e nessuno lì s'aspetterebbe agguati all'anima e al portafoglio. Secondo noi è arrivato il momento di alzare il sipario su tutto questo e di ascoltare la voce dei cittadini, delle associazioni, dell'Asl che da tempo si battono in prima linea per arginare il fenomeno, per combatterlo con le armi della civiltà, dell'informazione, della medicina. È concreto segno di sbandamento sociale che lo Stato abbia aperto così facilmente al gioco d'azzardo e il servizio sanitario pubblico (vale a dire ancora lo Stato) sia costretto a investire miliardi nella prevenzione e nella cura dei malati di gioco. Perché di slot si muore e ci si dispera, anche in un innocuo bar. E non basta appendere sul muro a caratteri invisibili le avvertenze sui rischi del gioco d'azzardo o il numero di telefono di un ludopata per sentirsi la coscienza più leggera.

La dipendenza è psicologica e chimica. Progressiva. E porta lontano, verso la bancarotta famigliare, verso gli usurai, verso il nulla. Ecco perché queste pagine, ecco perché questa iniziativa. Vogliamo raccontare, vogliamo far sapere. È vogliamo che gli esercizi pubblici «free slot», liberi dalla tentazione, siano con noi. Ne pubblicheremo i nomi, sarà un elenco di cui andare orgogliosi, ci piacerebbe che si allungasse giorno dopo giorno. E presto regaleremo a questi esercizi la vetrofania più rassicurante per le famiglie: «Qui niente slot». Immaginiamo una catena silenziosa e civile di persone che hanno capito. E che vogliono tenere lontana dai propri cari e dal proprio orizzonte quella trappola ipnotica a bottoni che ti mangia la vita. Giorgio Gandola

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