«La mia battaglia vinta con le slot»
Guarire si può, e ora aiuta gli altri

«Sono 13 mesi che non gioco alle slot (occhi che scintillano). Mercoledì divento operatore (scintillano di più)». Mario parla con fare calmo, ma il suo racconto pulsa di emozione.

«Sono 13 mesi che non gioco alle slot (occhi che scintillano). Mercoledì divento operatore (scintillano di più)». Mario parla con fare calmo, ma il suo racconto pulsa di emozione.

La sua storia di giocatore rinato si snoda intorno ai suoi affetti più cari: la sorella e la mamma, a segnare i punti chiave del suo percorso. «Una sera mi ha chiamato sul cellulare mia sorella - racconta lui, 46 anni, professione barista -. Dove sei? Mi chiede. A fare la spesa, le dico. Invece me la sono ritrovata lì, fuori dalla sala giochi. Da quando mi ha detto "dobbiamo parlare", ho svuotato il sacco. Non vedevo l'ora». Il discorso diretto, serrato, prosegue con un «le ho detto: so già dove andare, da Enrico».

Era un suo vecchio compagno di calcio, il suo gioco «pulito». Solo che anche Enrico c'era passato, prima, nel gioco fatto di ossessioni. Per lui erano state le scommesse ippiche. Mario aveva letto di Enrico, della sua battaglia contro la dipendenza del gioco proprio su L'Eco. «Lo ricordo bene quell'articolo del 2011 (era il 31 luglio, quando uscì la seconda puntata di una nostra inchiesta sul gioco d'azzardo, ndr): in fondo alla pagina c'era la foto del mio amico». Raccontava come fosse riuscito a scrollarsi di dosso la voglia irrefrenabile di scommettere, spesso e senza tregua. E come, alla fine, avesse fondato i gruppi di auto-aiuto che nel 2012 sarebbero diventati Associazione Insieme, al Patronato San Vincenzo. Riparte proprio da lì la vita di Mario, che non si chiama Mario ma fa lo stesso. Barista in centro a Bergamo («ma in un locale senza slot», tiene a precisare), Mario mercoledì diventerà operatore dell'associazione. Di più: proprio grazie a lui, ai quattro gruppi del lunedì se ne affiancherà un quinto, al mercoledì. E sarà un'emozione vestita da monito, per lui, peraltro già vissuta in veste di supplente.

«Mi è già capitato di tenere degli incontri, sostituendo i responsabili. Cosa ho provato? Ti rendi conto che il bene che hai ricevuto, lo vuoi dare agli altri. E poi ci si rivede in chi oggi sta lottando per uscire dalla dipendenza del gioco, e ragioni sul fatto di non sbagliare più». Ma quanto aveva sbagliato? Quanto aveva perso? «In due anni di gioco sono arrivato a zero euro sul conto corrente, ho dovuto anche fare un prestito per pagare la tomba di mia mamma». Eccola qui l'altra tappa della sua storia. L'affetto più grande che se ne va e non hai nemmeno i soldi per darle l'ultimo saluto. Persi insieme alla dignità. «È stato allora che ho capito di aver toccato il fondo» dice Mario, che continua: «Giocavo anche un paio d'ore al giorno, al bar ma anche nelle sale giochi, fino a 400-500 euro, tanto fuori dalla sala c'era il bancomat. C'è sempre un bancomat fuori dalla sala giochi, oppure un compro oro».

Finalmente la sorella fiuta il problema. Arriva quella telefonata, si parlano e Mario comincia a frequentare gli incontri al Patronato, sotto la guida di psicologi e psicoterapeuti. E adotta quegli accorgimenti che da mercoledì comincerà a consigliare ai «suoi» malati da aiutare: «Fin da subito mia sorella ha fatto l'home banking sul pc di casa sua, in modo da potermi controllare ogni movimento sul conto - spiega -, e per un periodo sono stato senza carta di credito, vivendo con cinque euro al giorno». Ma ha mai vinto cifre importanti? «A gennaio 2012 - cioè poco tempo prima di smettere definitivamente - ho vinto alle macchinette 4 mila euro, ma a marzo ho fatto il prestito». Ed è scattata la molla di dire basta.

Marta Todeschini

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