«Il gioco? È diventata una droga
Ho preso i soldi delle mie bimbe»

Non giocavo per vincere, ma solo perché mi piaceva. Era una droga. Mi alzavo la mattina esclusivamente per giocare e andavo a letto la sera pensando ancora di giocare. Ho mentito a mio marito e preso i soldi che avevano regalato e avevamo messo da parte per le mie bambine».

Non giocavo per vincere, ma solo perché mi piaceva. Era una droga. Mi alzavo la mattina esclusivamente per giocare e andavo a letto la sera pensando ancora di giocare. Ho mentito a mio marito e preso i soldi che avevano regalato e avevamo messo da parte per le mie bambine. Finché ho detto basta. Ora ne sono uscita».

Maria (il nome è di fantasia) ha 39 anni e vive nella nostra provincia. Da un anno è in cura al Servizio multidisciplinare integrato del Centro Aga di Pontirolo Nuovo.

Maria, come mai ha iniziato a giocare?
«Era due anni fa. Pian piano ho cominciato, finché sono arrivata a giocare tutti i giorni. Poi ho visto che la situazione mi sfuggiva di mano: non tanto per i soldi, ma perché cambi fisicamente, trascuri la famiglia, perdi giorni di lavoro, non ti interessa più niente. Ho provato anche a smettere da sola, senza risultato. Durava tre giorni».

Quando si è avvicinata alle slot?
«È stato per caso. Ero con una persona e ho visto che ha vinto 100 euro. Non avevo problemi economici, stavo bene in famiglia e lavoravo anch'io. Così ho provato».

E poi?
«Poi si sono accumulati dei problemi: ho perso il lavoro di operaia, ma non perché giocavo. Il tempo libero in più mi ha avvicinato al gioco: serviva per staccare la spina e non pensare più a niente».

Per quanto ha giocato prima di capire che era necessario porre un freno?
«Direi un anno. E ora è un anno che sono in cura. Giocavo alle slot dei bar, non nelle sale. Andavo un po' dove mi capitava, solo per giocare. In passato non avevo mai avuto questo vizio: non avevo mai preso un gratta e vinci e nemmeno mai giocato al lotto. Guardavo male chi giocava. Poi ho scoperto che mi piaceva».

Quanto ha perso?
«Attorno ai 10 mila euro. Anche se sono sempre stata attenta a non sforare in banca: il mutuo e le bollette, per esempio, le ho sempre pagate, però ai miei bambini e in casa mancava tutto. Spendevo per l'indispensabile, ma ho preso tutti i risparmi extra, anche quelli delle mie bambine, per giocare».

Ha vinto qualche volta?
«Al massimo 600 euro. In realtà il mio obiettivo non era più vincere, ma giocare, giocare, giocare. Era diventata una droga, un gioco compulsivo».

Dopo quando è diventato una patologia?
«Dopo due o tre mesi».

In famiglia lo teneva nascosto?
«All'inizio sì, anche mio marito non sapeva nulla».

E quando usciva per andare a giocare cosa raccontava in casa?
«Bugie continuamente. Che vedevo un'amica, che andavo nel tal posto. Anche per i soldi: una volta che li avevo persi, un'altra che li avevo spesi dal dentista».

In casa si sono poi insospettiti?
«A mio marito l'ho detto io, perché non ce la facevo più».

Chi l'ha convinta a farsi curare?
«È stata la mia migliore amica, che mi ha passato il numero del Centro Aga. Ma io, testarda, ho aspettato un mese prima di chiamare. Dicevo: ce la faccio da sola. Alla fine ho chiamato perché l'avevo combinata grossa».

Ovvero?
«Ho dovuto vendere una cosa a me molto cara per coprire il buco economico creato giocando. Così pensavo di aver capito la lezione. Due giorni dopo ho speso ancora 100 euro. Allora mi sono davvero convinta: non ce la faccio da sola. E ho preso il telefono».

Suo marito come l'ha presa?
«All'inizio non bene. Poi, parlando anche lui con gli operatori, ha capito che non lo facevo apposta, che non dipendeva da me».

Come si spiega oggi quello che faceva allora?
«Solo ed esclusivamente perché mi piaceva giocare. Non ci sono altre scuse».

A chi gioca ancora cosa vorrebbe dire?
«Di farsi aiutare e fermarsi finché si è in tempo. C'è sempre una seconda possibilità».

È stato difficile uscirne?
«Ci è voluto oltre un anno, perché ho fatto una ricaduta. Non ho giocato per tre mesi e mezzo, poi ci sono ricascata».

Come mai?
«Per la troppa sicurezza. Pensavo di essere guarita, così sono andata al bar e ho giocato un euro. "Solo questo", mi dicevo: "Guarda che ora ti controlli". Poi ne ho messi nella slot 300. Tra l'altro è stata più brutta la ricaduta: ero diventata sbruffona, dicevo che sarei stata lì al bar solo a vedere. Ora invece proprio evito quei posti».

E poi?
«Sono tornata al Centro e ora sono 6 mesi che non gioco più».

Ha ancora la tentazione?
«No. Non ci penso più. Poi ho iniziato di nuovo a lavorare. Mi sono data da fare e ho cambiato completamente modo di vedere la vita».

All'inizio c'era un disagio personale?
«Sì, ero un po' in crisi per tutto. Avevo una serie di problemi personali da affrontare. Problemi che, in realtà, ci sono ancora, ma ora li vedo in modo molto diverso da prima».

Fabio Conti

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