Il «bazooka» di Draghi
ha ridato linfa all’economia

Le banche vedono finalmente rosa. Nell’ultimo rapporto elaborato dall’Associazione bancaria italiana (l’Afo, acronimo di Abi financial outlook) elaborato dagli economisti degli uffici studi dei più importanti istituti di credito del nostro Paese, le previsioni si fanno molto confortanti. Non c’è più solo una luce in fondo al tunnel: ormai siamo proprio fuori dal tunnel.

Tanto per cominciare il rapporto conferma l’uscita dalla recessione. Il Prodotto interno lordo ormai viaggia in territorio positivo, continua a crescere, anche se la percentuale è ancora da prefisso telefonico: 0,7 per cento. Ma è quel che ci attende nei successivi anni che fa ben sperare, perché la produzione di beni e servizi raddoppierà, portandosi all’1,6 per cento. Una notizia decisamente positiva, dopo gli ultimi dati, piuttosto altalenanti, sulla ripresa dell’industria e dell’occupazione (gli ultimissimi, elaborati dall’Istat, parlavano di una frenata nei mutui e del manufatturiero).

Certo, per arrivare a livelli pre crisi ci vorranno anni, forse decenni, visto che dal 2008 si calcola che abbiamo perso circa venti punti di Pil. Ma i numeri offerti dall’Abi ci dicono che gli italiani invece di piangere sul latte versato si sono rimessi a produrre ricchezza, hanno recuperato l’ottimismo della volontà, hanno rimesso in circolo i risparmi e continuano a macinare risultati concreti. Quanto alle banche, che stanno al centro del sistema, patrimonialmente rafforzate e pronte per gli esami europei, promettono di tornare a un’espansione dei prestiti, pur in presenza di un certo ammontare di crediti ormai deteriorati e di una redditività tutt’altro che vivace (gli utili netti del settore dovrebbero ammontare a fine 2017 a poco più di dieci miliardi di euro, tre volte meno dei livelli pre crisi).

La ripresa della domanda, dicono gli economisti dell’associazione, riuscirà anche ad allontanare i rischi di una pericolosa deflazione, vale a dire di un ristagno dei prezzi, anche se l’aumento dei prezzi al consumo sarà inferiore rispetto alla media europea (1,3% contro 1,7% nella media del biennio 2016-17). I consumi beneficeranno della risalita del reddito reale e dal consolidamento della fiducia delle famiglie.

Grazie al migliorato contesto economico dovrebbero anche aumentare gli impieghi bancari di circa 120 miliardi di euro. Di conseguenza miglioreranno anche le basi imponibili e il gettito fiscale. Dunque anche la finanza pubblica ne ricaverà dei benefici.

Inutile dire che tutto questo è anche merito della politica monetaria della Banca centrale europea (Bce) e dell’ormai celebre «bazooka» di Mario Draghi, che ha immesso nel sistema dell’Eurozona una quantità di denaro tale da sollecitare la ripresa degli investimenti e del credito alle imprese. I volumi di acquisto dell’istituto di Francoforte restano altissimi e imponenti: mille miliardi di euro entro settembre del prossimo anno, eventualmente prorogabili nel caso l’economia non risultasse, alla fine della cura Draghi, sufficientemente robusta.

È come se il Governatore vegliasse sulla ripresa degli Stati membri, facendosi promotore della crescita: dopo i titoli di Stato, i crediti cartolarizzati (Abs) e i covered bond, la Bce ha deciso, infatti, di iniziare ad acquistare anche titoli di aziende ed enti internazionali o sovranazionali con sede nell’Eurozona, impegnati nel settore delle infrastrutture. A leggere il rapporto Abi si ha l’impressione che gli economisti si siano tenuti stretti con le previsioni (da bravi banchieri) e che il meglio potrebbe addirittura ancora venire. Anche perché molto dipende ancora dalle scelte di politica economica del governo.

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