Coppi morì 50 anni fa
Ultimi applausi a Bergamo

La brutta notizia, il mattino di quel 2 gennaio di cinquant’anni fa, ce la diede papà, che aveva ascoltato il Giornale Radio prima di uscire di casa per andare in ufficio. Le scuole erano chiuse per le vacanze di Natale e chi scrive, allora diciannovenne, nicchiava ancora nel letto.

«Coppi sta morendo», disse papà con un fil di voce. Se la caverà anche stavolta, pensammo, abituati come eravamo agli avantindré ospedalieri del Campionissimo. Un femore, una clavicola, un malleolo, qualche costola, il bacino: quante volte era capitato di vederlo entrare mezzo morto in corsia e uscirne più sano e più forte di prima?

Ma questa volta era diverso: una banale malaria, contratta durante una partita di caccia grossa in Africa e non diagnosticata dai medici, ce lo stava portando via per sempre. Morì alle 8,45 all’ospedale di Tortona. Scoppiammo a piangere: un pianto inconsolabile, pieno di dolore. Come avremmo fatto senza l’idolo della nostra adolescenza, senza l’uomo che con le sue straordinarie imprese ci aveva regalato momenti di gioia immensa?

E via coi ricordi. Il più vicino nel tempo era di soltanto due mesi prima: il Trofeo Baracchi, disputato il 1° novembre in coppia col campione francese Louison Bobet, suo sincero amico. A quei tempi la televisione era arrivata da poco, e poco trasmetteva. Per cui, per vedere i nostri idoli dal vivo, bisognava aspettare l’occasione: per noi bergamaschi il Trofeo Baracchi, classico appuntamento di chiusura della stagione.

Del Coppi di quel giorno ricordiamo la vigilia in piazza Dante, col giro in macchina dopo la punzonatura, e la partenza della gara. In piazza Dante gridammo il suo nome: Faustoooo. Rispose col suo sorriso malinconico e un cenno della mano. Tornammo a casa felici, col saluto di Fausto custodito nel cuore. Non immaginavamo che sarebbe stato l’ultimo.

Col Trofeo Baracchi Coppi aveva un feeling particolare, originato dal franco, amichevole rapporto con Mino Baracchi. Dal 1950 fino al 1959 l’avrebbe sempre disputato tranne una volta, nel 1958, a causa di un’indisposizione. La prima volta si porta come compagno di coppia il fratello Serse (secondi dietro Magni-Bevilacqua), poi è la volta dell’olandese Van Est (quarti), poi ancora del giovane marchigiano Gismondi (terzi).

L’anno dopo, fresco della conquista del titolo mondiale, Fausto sceglie come spalla il giovane Riccardo Filippi, piemontese pure lui. Vincono alla grande, per poi bissare e triplicare il trionfo nei due anni successivi. Per Filippi sarebbero state le tre sole vittorie della carriera. Sempre rimorchiando Filippi, nel 1956, il Campionissimo incassa una cocente, doppia delusione, arrivando secondo dietro alla coppia Graf-Darrigade. Perché doppia? Perché lo stesso Darrigade lo aveva battuto anche pochi giorni prima sul traguardo del Giro di Lombardia.

Ma il Baracchi che più ricordano i tifosi coppiani è quello del 1957, che il Campionissimo vince in coppia con l’astro nascente Ercole Baldini. Coppi ha già i suoi anni, 38, compiuti da due mesi, mentre Baldini è un giovane in ascesa: l’anno prima, da dilettante, ha vinto l’Olimpiade di Melbourne, ha stabilito il record dell’ora e ha conquistato il mondiale dell’inseguimento, mentre in quel 1957 si è laureato campione d’Italia su strada.

È lui, insomma, l’uomo forte della coppia. Ma il Campionissimo non gli è da meno e, grazie a un travolgente finale, i due italiani si impongono di misura sugli svizzeri Graf-Vaucher. Poi, come abbiamo detto, l’ultimo appuntamento con Bergamo, con le corse, con la vita: il Baracchi del 1959. Fausto ha 40 anni, ma ha già firmato il contratto con la San Pellegrino per correre anche nel 1960 agli ordini del suo storico avversario Gino Bartali; Bobet è di poco meno vecchio: ha 35 anni. I due grandi campioni arrivano quinti, ma fanno il pieno di applausi.

La storia di Coppi e quella di Bergamo si intrecciano anche in occasione degli arrivi, o dei passaggi, del Giro d’Italia sulle nostre strade. Il 30 maggio 1952, nella tappa Bolzano-Bergamo, vinta sulla pista in terra rossa dello stadio dal friulo-bergamasco Oreste Conte, il Campionissimo entra in città in maglia rosa. L’ha conquistata due giorni prima a Venezia e poi l’ha consolidata nella tappa dolomitica, nella quale è arrivato a Bolzano con oltre cinque minuti di vantaggio su Bartali e Magni. Quel Giro è suo, ovviamente. Il secondo, Magni, gli finisce a quasi dieci minuti.

Con lo stesso Magni, nel 1955, tappa Trento-San Pellegrino, Coppi firma una delle pagine memorabili della storia del Giro d’Italia. È il 4 giugno, si corre la penultima tappa di un Giro che sembra ormai archiviato con la vittoria del giovane toscano Gastone Nencini. Magni, secondo in classifica, non è tuttavia rassegnato e, approfittando di una foratura di Nencini, lo attacca trovando un prezioso alleato proprio in Fausto Coppi, che è terzo a soli 13" da Magni. Richiamata dal tam-tam popolare, la gente si riversa sulle strade ad applaudire i due vecchiacci che stanno firmando un’impresa storica.

Bergamo è un oceano di folla. A San Pellegrino vince ovviamente Coppi, perché Magni, pago della conquista della maglia rosa, tira correttamente i freni. Ma per noi coppiani quella di Fausto è una vittoria che ha il sapore del fiele e il peso del rimpianto: per soli 13" il nostro Fausto manca la vittoria del suo sesto Giro d’Italia.
 Ildo Serantoni

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