Pisani e Ale, indimenticati
a tredici anni dalla morte

«Vivere nel cuore di chi resta non è mai morire». Una frase breve, dal sapore antico, che campeggia su una lapide a fianco del campo principale di Zingonia. È datata 12 febbraio 1997. In alto sulla destra un nome, mille ricordi, mille dribbling e discese sulla fascia: Federico Pisani.

Sono passati 13 anni da quella disgraziata notte di martedì grasso, quando il 22 enne attaccante atalantino perse la vita insieme alla fidanzata Alessandra Midali, dopo essersi schiantato con la sua Bmw contro il pilone di un cavalcavia allo svincolo tra la Torino-Venezia e l'Autolaghi.

I due, insieme a una coppia di amici, rimasta illesa, erano di ritorno da una serata al casinò di Campione d'Italia. Festeggiavano il carnevale che stava passando, ma anche il recupero del numero 14 atalantino dopo un serio infortunio e il momento felice dell'Atalanta del trio Morfeo-Inzaghi-Lentini, allora nel salotto buono della serie A.

La corsa di Federico e Alessandra finì contro quel pilone, uniti nella sorte da un tragico destino. Federico Pisani era nato a Capannori in provincia di Lucca, il 25 luglio 1974. Nell'ottobre del 1988, l'Atalanta lo convinse a trasferirsi a Bergamo. I primi anni li trascorse alla Casa del Giovane, insieme ai suoi compagni di spogliatoio.

Nel vivaio bergamasco, con la «banda Prandelli» (Morfeo, Locatelli, Tacchinardi, Poloni e Foglio alcuni dei suoi compagni di squadra) vinse nel 1993 lo scudetto Primavera e il torneo di Viareggio. L'allenatore Bruno Giorgi lo aveva fatto esordire in serie A già nel 1992.

Dopo una breve parentesi di sei mesi con il Monza nel 1993-94, Chicco Pisani era tornato a Bergamo indossando la maglia della sua Atalanta (64 partite e 6 reti in campionato dal 1992 al 1997, 74 presenze e 7 gol in totale con le Coppe) fino al triste epilogo.

La prematura scomparsa non ha cancellato il ricordo del «monello» atalantino, che quando entrava in campo nei finali di gara riusciva a ribaltare la situazione e a far impazzire i difensori avversari. Era l'arma vincente dell'ultima parte del match. In particolare Emiliano Mondonico intuì questa dote del ragazzo.

Resta vivida nella memoria dei tifosi atalantini la rimonta contro la Roma del 28 gennaio 1996 (2-1): Federico entrò in campo nella ripresa, fuggì sulla sinistra, saltò un avversario con una finta a rientrare e insaccò sul palo più lontano della porta romanista. Un gol capolavoro. Velocità, dribbling e gran vivacità sulla fascia: qualità che gli permisero di diventare un beniamino del pubblico, anche per quel suo carattere buono e quella faccia da bravo ragazzo.

In un soleggiato sabato mattina di metà febbraio del 1997 la sua Atalanta e tutta Bergamo lo salutarono per l'ultima volta, in Città Alta, alla presenza di più di tremila persone. Il giorno seguente la squadra bergamasca scese in campo contro il Vicenza (3-1). L'atmosfera era surreale: il pubblico triste ed emozionato ripeteva incessantemente il suo nome, mentre le due formazioni apparivano bloccate.

Nella ripresa Pippo Inzaghi realizzò una doppietta, anticipata dal gol di Paolo Foglio su assist di Domenico Morfeo. Una rete particolare: i due giocatori si guardarono emozionati, si strinsero la mano e corsero insieme sotto la Nord ad abbracciare la maglia dell'amico e compagno di tante battaglie.

La Curva Nord del Comunale nell'arco di pochi mesi cambiò nome, diventando Curva Pisani e la società Atalanta decise di ritirare per sempre la maglia numero 14. «Vivere nel cuore di chi resta non è mai morire». Il nome del piccolo monello toscano, bergamasco d'adozione, risuona ancora tredici anni dopo nei cori dei sostenitori nerazzurri. Da lassù Chicco e Ale sorrideranno emozionati, cercando di accompagnare fino al sogno salvezza il cammino della loro Atalanta.
 Simone Masper

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