Zanetti premiato dal Panathlon
«Onorato, lo vinse pure Facchetti»

Già è difficile trovare l'uomo da premiare, perché il regolamento del Premio Turani pone vincoli rigidissimi: alto rendimento sul campo, nessun provvedimento disciplinare, nemmeno un giallo in tutto l'anno. Dopodiché, quando riesci a trovarlo, c'è bisogno di un mese di tiramolla per trovare la data giusta in cui l'uomo può venire a Bergamo.

Ma non è tutto qui, perché nel caso del «Turani» di quest'anno - che è poi riferito al 2009 - il premiato fa sapere che, al massimo, si può intrattenere una mezzoretta: arrivo alle 20 e ripartenza alle 20,40 perché è abituato ad andare a nanna non dopo le undici. Infine, dulcis in fundo, quando arriva mette subito le mani avanti: la mia squadra è in silenzio stampa, quindi nessuna domanda, please.

Javier Zanetti, inseguito, insignito, coccolato dal Panathlon, è sicuramente un grande giocatore e una ancor più grande persona. Il suo quasi omonimo Xavier Jacobelli, giornalista di razza, ne tratteggia la figura senza enfasi, ma facendone risaltare la bellezza interiore: dopo Bergomi è l'interista col maggior numero di presenze, gioca da 133 partite senza interruzioni, è primatista di presenze nella Nazionale d'Argentina. È corretto, educato, sensibile, gentile, disponibile: un panda nel calcio d'oggi.

In più, insieme con la moglie Paola, fa vivere la Fondazione Pupi (Por Un Piberio Integrado), fondata una decina d'anni fa negli anni bui del crac argentino per ridare la speranza di un domani a un migliaio di bambini di quel meraviglioso Paese sudamericano.

Lui, Javier, prende il microfono per ringraziare e per esprimere un paio di concetti - «Questo premio è un onore, basta leggere l'albo d'oro; all'Inter ho avuto un grande maestro, Facchetti; la rinascita dell'Argentina nasce dai bimbi, per questo li aiutiamo con la Fondazione» - che ne attesta la nobiltà d'animo e l'attenzione per il sociale. Poi fa il giro del tavolo, firma un paio d'autografi, stringe tutte le mani che si trova davanti, alza i tacchi e si dirige all'uscita.

Ai cronisti che gli si accalcano attorno nella speranza di tirargli fuori una battuta su campionato, Chelsea, Milan, Mourinho e via andare, regala un sorriso e niente più. «Soltanto domande sul premio», ringhia l'addetto stampa Crippa, che lo protegge come un gorilla. Qualcuno gli urla là: e l'Atalanta, si salva l'Atalanta? «Speriamo», risponde lui mentre è già in fondo al corridoio. Ma avrebbe detto la stessa cosa a Siena o a Livorno.
 Ildo Serantoni

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