L'eroica impresa dell'Inter
Foto del trionfo al Camp Nou

Un'ora a reggere il fortino in dieci uomini, il sogno quasi frantumato in pieno recupero e poi il traguardo. Raggiunto in salita, con una partita d'altri tempi, quelle del bianco e nero delle immagini dell'ultima grande gioia. L'Inter ce l'ha fatta. La squadra di Josè Mourinho ha riportato il Biscione in finale di Champions League, che il prossimo 22 maggio a Madrid vedrà il Bayern Monaco prendere le sembianze dell'ultimo ostacolo verso una coppa che non entra nella bacheca nerazzurra dal 1965.

L'operazione «remuntada» lanciata dall'intera Catalogna si è rivelata un mezzo fiasco. Nonostante una superiorità numerica scattata al 28' per una discutibile espulsione diretta di Thiago Motta (sceneggiata di Sergio Busquets per una manata tutt'altro che violenta sul collo), il Barcellona è riuscito a raggranellare un inutile 1-0, frutto più dell'inerzia dell'undici contro dieci che del gioco spagnolo.

Gioco di fatto inesistente. Il gol di Gerard Piqué per l'1-0 finale, risultato inutile per il 3-1 ottenuto dall'Inter all'andata, è arrivato dopo 84 minuti di arrembaggio disordinato e quasi mai pericoloso. Con un Samuel Eto'o straordinario quasi esclusivamente da terzino, l'Inter ha strappato il pass per la finale del Bernabeu nell'ennesima serata disastrosa dell'ex per eccellenza, Zlatan Ibrahimovic: passato dall'Inter al Barcellona per inseguire il sogno di vincere la Champions, l'attaccante svedese, scambiato proprio per Eto'o la scorsa estate, è stato sostituito nel secondo tempo al termine di una prestazione nerissima.

È andato meglio, ma ha inciso poco, il fenomenale Leo Messi, contenuto tutto sommato bene dal centrocampo e dalla coppia centrale della difesa nerazzurra. Il finale, sei minuti più quattro di recupero, ha rischiato di trasformarsi in una beffa in due occasioni: prima un contatto sospetto in area interista, poi un gol blaugrana non convalidato per un fallo di mano sui 18 metri.

Poi il fischio finale e la gioia. Quella dei giocatori, allontanati dal campo dagli idranti azionati immediatamente sul rettangolo verde del Camp Nou, e quella di Massimo Moratti: prima l'esultanza e un urlo liberatorio, poi la stretta di mano al suo vicino di poltrona, il presidente del Barcellona Joan Laporta.

L'Inter, che giocò l'ultima finale di Coppa dei Campioni nel 1972 perdendo con l'Ajax, ha costretto i campioni d'Europa ad abdicare mandando in fumo il sogno di una finale sul campo degli acerrimi rivali del Real Madrid. Quella di mercoledì sera è stata, anche, la vittoria di Mourinho. Privato di Goran Pandev per un risentimento nel riscaldamento (al suo posto ha giocato da tornante sinistro Christian Chivu) il tecnico portoghese - che a quanto pare a fine gara ha fatto tappa nella cappella dello stadio per pregare - ha parlato del momento «più bello» della sua carriera.

«Più bello del primo scudetto, più bello della Champions vinta (con il Porto; ndr). Questa non è una squadra di ragazzini, per loro è una soddisfazione incredibile - ha detto Mourinho - e a me rende felice. La mia squadra ha lasciato il sangue, loro volevano vendere cara la pelle ma hanno festeggiato in anticipo. Noi ci abbiamo lasciato il sangue e la festa l'abbiamo fatta dopo. E' un'impresa storica».

Poi due dichiarazioni, entrambe rinnovate. Una di amore, per l'Inter, l'altra di «non amore» per il calcio italiano. «Io pensavo di aver toccato il massimo con i tifosi del Chelsea ma con quelli dell'Inter c'è ancora più feeling. Sono innamorato dell'Inter - ha detto lo Special One - e di questi tifosi. Ma non del calcio italiano. Lo rispetto ma non lo amo».

Ora, con Mourinho al timone, l'Inter punta dritta al Grande Slam: prima della finale con il Bayern la squadra nerazzurra dovrà chiudere la pratica-scudetto (tre giornate da giocare e due punti di margine sulla Roma) e sfidare sempre la Roma nell'ennesima finale di Coppa Italia. «Il mio futuro? Non la prendo questa strada, il mio futuro sono queste cinque finali che mi rimangono».

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