Bianchi, mai un gol all'Atalanta
«Ma c'è sempre la prima volta»

Di strada ne ha fatta, da quando nel gennaio 2004 lasciò Bergamo e l'Atalanta per Cagliari. Sembrava un arrivederci, è diventato un addio. Rolando Bianchi torna da avversario e da capitano del Torino. Quei gradi non sono casuali. Più maturo, più robusto, più pronto. Un altro giocatore magari, ma non una persona diversa. Sul suo sito personale (tra l'altro realizzato veramente bene) non dimentica le sue origini e il suo passato. C'è anche una sezione dedicata ai bambini del Congo. «Lì è missionario Don Rinaldo, un parente di famiglia: mi ha fatto capire quanto sono fortunato e nel mio piccolo cerco di dargli una mano».

Questo le fa onore. In tutti questi anni non è cambiato: tenace, determinato ma anche sensibile.
«Non dimentico il mio passato, così come l'Atalanta: se sono diventato calciatore lo devo a questa società. Ci sono tante persone che ringrazierò sempre, dalla famiglia Ruggeri a Favini, da Bonaccorso a Brogni che mi ha portato all'Atalanta. Tornare a Bergamo è sempre un piacere».

Anche da avversario?
«I miei amici mi hanno già inondato di messaggi. Mi chiedono di stare tranquillo. Sa, sono tutti atalantini...».

E lei finora li ha sempre accontentati. Mai un gol segnato all'Atalanta.
«Già, è vero. Non so come mai, non ho mai avuto l'occasione. Ma c'è sempre la prima volta».

E se segna che fa, esulta?
«Non farò certo capriole. Ma esulterò, moderatamente. Mi sembra più corretto. Se non esultassi mancherei di rispetto sia ai tifosi del Toro che a quelli dell'Atalanta: mi sembrerebbe di prenderli in giro».

A proposito di gol, si ricorda l'unico segnato con la maglia dell'Atalanta?
«Me lo ricordo come se fosse ieri: Coppa Italia contro la Juventus. Gran palla di Pià, io che di interno faccio gol. Conservo ancora la maglia di Thuram per ricordo. Quella notte non avevo chiuso occhio dall'emozione: mi sembrava tutto un sogno».

Invece era realtà. Ma resterà anche l'unico gol in 23 partite con l'Atalanta. «È il mio grande rammarico. In quel periodo avevo giocato probabilmente il calcio più bello, ma mi mancava sempre il gol. Sono convinto che se avessi segnato di più, non sarei mai andato via. E penso che a Bergamo avrei potuto fare molto bene. Volevo essere profeta in patria, invece è andata diversamente».

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