Layeni: «L'Italia è il mio Paese
ma mi chiedo se ho sbagliato»

C'è un lieve fastidio nella voce: «Mi piacerebbe parlare di calcio giocato, anche perché non è la prima volta che mi capita una cosa del genere». Così Layeni, portiere dell'AlbinoLeffe, sui cori razzisti dei tifosi laziali.

C'è un lieve fastidio nella voce, anche se l'educazione è da serie A. «Mi piacerebbe parlare di calcio giocato, anche perché non è la prima volta che mi capita una cosa del genere». Sul genere stupidità&cori razzisti Stefano Layeni, italiano di nascita e figlio di genitori nigeriani, potrebbe scrivere un libro, neppure tascabile.

Ma non lo fa, perché non è più il tempo di reazioni istintive. «Mi scivola addosso, l'indifferenza è l'arma migliore. Però è difficile negare che episodi del genere lascino il segno». L'ultimo sfregio è fresco, un pizzicotto dei soliti idioti nella notte della favola.

Layeni è tra i pali dell'AlbinoLeffe a Roma contro la Lazio, dalla Nord dell'Olimpico una paccottiglia inveisce. «I soliti "buu" e qualche fischio nei rinvii da fondo campo, ma ero pronto a peggio - spiega Layeni -. A Roma è così, ma ho sentito anche applausi e forse sono maturato anch'io: prima della partita Foglio mi ha consigliato per scherzo di togliermi la maglia e mostrarmi alla curva. Ci ho riso su. La cosa assurda è che la Lazio aveva due giocatori di colore in campo, ma vaglielo a spiegare».

Stefano è mantovano di Castiglione delle Stiviere: «Fino a 18 anni ho avuto il doppio passaporto, poi ho scelto quello italiano. A volte mi chiedo se ho fatto la scelta giusta: la cosa peggiore è il razzismo che ho respirato in campo nelle giovanili. È un brutto segnale»

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