Io, cronista intercettato
Con Doni arrabbiato

di Pietro Serina

In questi sei mesi – da quando è scoppiato il Calcioscommesse – credo di aver parlato almeno 30 volte al telefono con Cristiano Doni. Sapendo perfettamente – non sono scemo – di essere intercettato.

In questi sei mesi – da quando è scoppiato il Calcioscommesse – credo di aver parlato almeno 30 volte al telefono con Cristiano Doni. Sapendo perfettamente – non sono scemo – di essere intercettato. Al punto che alla fine di ogni conversazione dicevo a Doni: «Cri, salutiamo il carabiniere che ci sta ascoltando: buongiorno carabiniere...» E lui: «Buongiorno carabiniere...».

Due volte abbiamo concluso le nostre chiacchierate facendo un'intervista ufficiale, altre due volte Doni è scoppiato a piangere al telefono parlando di sua figlia. Sembrava sincero.Sembrava. Così come altre volte è sembrato deluso, sconsolato, carico, deciso a combattere, arrabbiato. Mai, però, era parso furibondo come in quell'interminabile pomeriggio del 9 luglio: 35 minuti al telefono per contestare un box di 20 righe che proprio non aveva gradito.

Avevamo scritto di una telefonata tra Parlato e un tale non identificato partita da una cabina telefonica di Osio Sotto alle 13,17 del giorno di Atalanta-Piacenza. Un'ora e mezza prima della partita. Ci aveva insospettito quella telefonata partita da Bergamo e indirizzata a Parlato nella quale si parlava della combine. Doni era una jena, quel giorno. Ma non lo ricordavo arrabbiato come l'ho percepito ieri, leggendo l'ordinanza del gip di Cremona.

Sì, da pagina 300 a pagina 303 del documento c'è la sintesi di quei 35' 46" di telefonata: «I due (io, il giornalista, e Doni...) intercorrono in una comunicazione piuttosto accesa. In particolare Doni, palesemente adirato... Ma perché lo devi scrivere?» «Il giornalista risponde che è una cosa significativa che la chiamata a Parlato sia stata fatta da Osio...». Poi, domanda del cronista a Doni: «Ma come mai sei così preoccupato di questa vicenda?». E ancora: «il giornalista chiede a Doni se ha letto le intercettazioni riguardanti i suoi soci del bagno e lui conferma... quindi il giornalista sostiene che non ci dovrebbe mettere più piede in quel posto, sapendo cosa fanno quelle persone...». Il giornalista aggiunge: «Mi preoccuperei degli amici, più che... (di quello che pubblichiamo noi, sottinteso)».

Doni difende il suo rapporto con gli amici di Cervia, e «il giornalista dice che però loro (gli amici di Cervia, ndr) compromettono la sua posizione...». E tra una discussione e l'altra, dopo aver provato a smorzare i toni, ecco tornare nelle mie parole il concetto che ci anima da sempre: «A noi importa fare l'interesse dell'Atalanta e di Doni... se l'Atalanta va in B chi ci rimette di più è sicuramente L'Eco di Bergamo... e difatti abbiamo tenuto una linea garantista... facendoci anche dare dei deficienti...».

E, quando Doni si dice preoccupato della linea che sta tenendo «L'Eco di Bergamo» il giornalista risponde: «La linea dell'Eco di Bergamo è di parare il c... a Doni e all'Atalanta... Non è che noi siamo clamorosamente di parte... I fatti devono essere rispettati». Questi i punti salienti del riassunto dell'intercettazione riportata nell'ordinanza. Beffardo, leggendola, il motivo per cui quell'intercettazione (su almeno 30 telefonate) ci è finita, nell'ordinanza. Ci è finita, purtroppo, perché l'interlocutore misterioso di Parlato era l'amico e socio di Doni, Antonio Benfenati, pure lui arrestato ieri. Secondo il gip era il referente di Doni al bagno «I figli del sole» in tutte le vicende legate alle scommesse. Aveva appena portato a Doni la scheda telefonica intestata a un rumeno suo collaboratore.

Ecco perché Doni era molto, molto arrabbiato per quella pubblicazione. Senza sapere, avevamo intuito. E allora, in attesa di leggere sino in fondo l'ordinanza e di interpretarla, ribadiamo il concetto: «L'Eco di Bergamo» e l'Atalanta sono stati, sono e saranno sempre indissolubilmente legati. Siamo tifosi, sarebbe autolesionismo farci del male. Nessuno di noi preferisce Cittadella a San Siro, o Crotone all'Olimpico. Tenendo la schiena dritta, continueremo così.

Pietro Serina

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