Incredulità e lacrime d'emozione
La salvezza ha colto di sorpresa

E festa sia. Meritata come un sollievo in questa stagione tormentata, di penalizzazioni e manette, di fiati sospesi e processi, di vecchi eroi che tradiscono e ragazzi del vivaio che muoiono.

E festa sia. Meritata come un sollievo in questa stagione tormentata, di penalizzazioni e manette, di fiati sospesi e processi, di vecchi eroi che tradiscono e ragazzi del vivaio che muoiono. L'Atalanta è aritmeticamente salva e all'improvviso tutti i guai sembrano sparire, come in un paesaggio lavato dalla tempesta. Sarebbero dovute cadere gocce di pioggia per gli aruspici del meteo: finisce che precipitano solo le lacrime del presidente Percassi, commosso mentre attorno la sua banda festeggia al centro di quel campo che a inizio stagione, con i sei punti di penalizzazione e altre magagne all'orizzonte, pareva destinato a diventare il cimitero delle speranze. Nulla di preparato - e si sa quanto sia meticolosa la società in quanto a eventi -, forse per scaramanzia, forse perché davvero nessuno si aspettava una combinazione di risultati così favorevoli: il Genoa che perde a mezzogiorno, il Lecce che si butta via addirittura in casa col Parma. E così, la salvezza, è un fiore selvatico che sboccia all'improvviso in un pomeriggio di nuvole e umidità. Una voce che fa il giro degli spalti e si gonfia sino a diventare consapevolezza. Si scruta il tabellone, si fa di conto, ci si fida del vicino informato: ci fosse stato ancora il vecchio transistor a scandirla, questa domenica avrebbe avuto risvolti epici. Anche i più distratti si accorgono che sta accadendo qualcosa di eccezionale, quando negli ultimi minuti tutta la panchina è in piedi, in fermento. Le riserve e i sostituiti si abbracciano, alzano i pugni al cielo, Schelotto armeggia con una striscia di gommapiuma che nelle sue mani pare una lancia da giostra medievale, lui filiforme e pizzuto come un Don Chisciotte. È partito il conto alla rovescia mentale, solo Colantuono continua a sbraitare, prigioniero della sua bolla isterica, come se l'Atalanta stesse perdendo una qualsiasi partita di campionato e non fosse invece a un soffio dal traguardo. In «Pisani» spiegano per l'ultima volta il bandierone, il lenzuolo che rimboccava la Nord nelle occasioni speciali, ma pure questo forse stavolta c'entra più con un impasto di permessi e coincidenze che con la programmazione. Il glorioso mega-drappo, che esordì in versione ridotta giusto 27 anni e un giorno fa (28 aprile 1985, Atalanta-Milan) per poi essere esteso dalla sartoria di curva, per il suo epilogo ieri ha goduto di una deroga informale della questura (non è ignifugo). Da oggi è da considerarsi in pensione, e allora è bello che il suo ultimo giorno non sia stato banale. «Grazie ragazzi» e «Vi vogliamo così», scandiscono gli ultrà e, quando l'arbitro fischia la fine, si sente un boato salire dal ventre dello stadio. La panchina nerazzurra si riversa in campo, i titolari già si stanno abbracciando. Pure Colantuono, ora, pare accorgersi che è fatta: leva i pugni al cielo e cammina verso centrocampo, niente corse a perdifiato verso il tunnel come mercoledì scorso. L'Atalanta è al centro del Comunale, il cortile di casa che gli ha fornito punti, coraggio e affetto. Dall'alto la squadra pare un gruppo di formiche che s'è dato appuntamento in mezzo al prato: i giocatori s'incrociano, si scambiano abbracci, poi si dirigono verso altri compagni. E poi saluti al pubblico, che s'è fermato ad applaudire. «Mister, mister» cantano i tifosi, l'altoparlante fa partire le note ska dei Madness, come ogni qualsiasi domenica: spiazzato pure lo speaker. Non era prevista celebrazione, il paradiso ci è piovuto addosso all'improvviso. In campo spuntano via via i Percassi, Pierpaolo Marino, gli altri dirigenti. Il presidente è commosso, non trattiene le lacrime, i figli Luca e Stefano lo guardano con tenerezza. La squadra, tenendosi per mano, punta verso la «Morosini» per il tributo, poi verso la «Giulio Cesare», la tribuna numerata e, infine, dopo qualche «stop & go» di scherno, verso la «Pisani». Quando i giocatori e lo staff si fanno inghiottire dal tunnel, resta solo Antonio Percassi: è sotto la Nord che salta pazzo di gioia, come il migliaio di ragazzi che sta al di là del plexiglass. Pure negli spogliatoi partono i cori, ma anche qui c'è improvvisazione, quasi incredulità. Per dire: la guerriglia del gavettone, militarmente pianificata per promozioni e salvezze passate, si limita stavolta a qualche schermaglia, tanto che Colantuono, solitamente il più bersagliato, può arrivare immacolato davanti ai microfoni. Fuori da qui, solo clacson e qualche sporadico corteo di scooter. Porta Nuova, il classico epicentro dell'esultanza calcistica, è orfana di bandiere e felicità nerazzurre. La città va avanti pigra, tra shopping, coni gelato e coppiette. La salvezza ci ha colti di sorpresa.

Stefano Serpellini

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