Marino nelle baraccopoli di Nairobi
Il basket porta il sorriso in Kenya

Lo hanno scritto su Facebook: il basket può portare lontano. Tanto lontano da scoprire, in posti da incubo, un sorriso grande così. E puoi scoprire che una palla a spicchi è un aiuto concreto, in città dove le necessità di base sono in dubbio.

Lo hanno scritto in cima alla loro pagina di Facebook, e hanno proprio ragione: il basket può portare lontano. Tanto lontano da scoprire, in posti da incubo, un sorriso grande così. E puoi scoprire che una palla a spicchi è un aiuto concreto, in città dove persino le necessità di base sono in dubbio.

Tommaso Marino queste cose le sa, perfettamente, ed è per questo che fra pochi giorni partirà per la sua seconda esperienza allo «Slums Dunk Nairobi», il progetto creato con l'amico-giocatore di basket Bruno Cerella per portare sui campetti delle baraccopoli della capitale del Kenya il sorriso di scorrazzare dietro a un pallone, dando ai ragazzi degli «slums» qualche rudimento tecnico ma soprattutto un abbraccio che viene dal cuore.

L'idea viene a Bruno, anche lui giocatore di basket professionista, in serie A a Teramo. Nella stagione 2010/11 è a Casalpusterlengo ed è in contatto con i ragazzi di Karibu Africa Onlus. Karibu in swahili significa «benvenuto»: l'associazione padovana si prefigge appunto lo scopo di dare il benvenuto all'Africa, alla sua storia e alla sua cultura. Ebbene, un giorno, nell'ottobre-novembre 2010, Bruno telefona al suo amico (erano a Teramo insieme, ndr) che sta facendo faville nella Comark di coach Lottici: «Tommy, senti questa: andiamo in Kenya, diamo vita a questo progetto nelle baraccopoli di Nairobi e poi gli attacchiamo lì una vacanza».

«Tre sere dopo - racconta Marino - Bruno viene a cena a casa mia a Treviglio e l'idea è realtà. O meglio, comincia a prendere forma. Lì è cominciata l'organizzazione, che ha pagato anche lo scotto della prima volta. Sfruttando il lavoro di Luca Marchina, attivista di Karibu che vive a Nairobi, abbiamo iniziato a pianificare il nostro arrivo: lui e i suoi collaboratori prendevano contatto con i referenti degli "slums", perché ovviamente lì dentro uno straniero può metterci piede solo se conosce qualcuno. Intanto noi ci davamo da fare per raccogliere quanto più materiale potevamo chiedendolo alle società: palloni, vecchie divise, magliette e così via. In molte ci hanno aiutato: la mia Treviglio, ma anche Casalpusterlengo, Teramo e altre».

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