Sandy, New York è ferita
«Giusto fermare la maratona»

Se lo scorso anno l'esperienza della maratona si era trasformata in un racconto sportivo tragicomico ... la notizia della cancellazione è stato un pugno nello stomaco. Ma - scrive Marco Sanfilippo da New York - annullare la maratona è stata una decisione sacrosanta.

Se lo scorso anno l'esperienza si era trasformata in un racconto sportivo tragicomico, per l'infiammazione al polmone sinistro che mi aveva stroncato dopo circa 17 km costringendomi a camminare fino all'arrivo e per un settantenne giapponese apparentemente in fin di vita che mi aveva beffato a Central Park pur correndo come una lumaca, stavolta l'sms di un collega che mi ha informato quasi in tempo reale, venerdì alle 17,30 (le 23,30 in Italia), della cancellazione della maratona di New York è stato un pugno nello stomaco. Tanto che la visita al MoMA si è tramutata in un vagare sconsolato tra le sale e davanti a «L'urlo» di Munch (in versione carboncino e tempera su carta), quadro quanto mai eloquente, l'umore è precipitato proprio sotto zero.

Parliamo subito chiaro: annullare la maratona è stata una decisione sacrosanta. Io stesso, constatando la situazione generale di precarietà giovedì e venerdì mattina a Manhattan, con la metropolitana ancora in tilt, diverse vie senza energia elettrica e con i semafori spenti, idrovore in azione per assorbire l'acqua dai tunnel e i distributori assaltati per la scarsità di carburante, mi ero domandato come il sindaco Michael Bloomberg avesse potuto dare l'ok alla corsa. La convinzione si era rafforzata osservando sulle tv locali di New York le immagini delle case letteralmente sventrate dalla furia dell'uragano Sandy, le auto sommerse dal fango e le parole di disperazione di chi aveva perso tutto nelle aree più colpite, come Staten Island, punto di partenza della maratona, dove risultano morte 19 delle 40 persone decedute a New York tra lunedì e martedì a causa di Sandy.

Come si potevano dedicare tempo, risorse e uomini alla maratona quando l'area meridionale di Manhattan, con le sue strade spettrali, per non parlare dei sobborghi, sembra reduce da una catastrofe nucleare? E nella mente mi era balenata l'idea, dopo aver visto venerdì mattina nel quartiere di Chelsea un'anziana spaesata in tuta, seduta in strada con accanto una torcia e tormentata da una notte senza riscaldamento, che sarebbe stato un gesto nobile rinunciare a correre e dedicare magari quelle ore a un'azione simbolica di volontariato (cosa che poi oggi in molti faranno), ma ammetto che era stato soltanto un pensierino, in realtà non avrei rinunciato al sogno di riscattare il disastro sportivo del 2011 e vanificare tre mesi di allenamento.

Il problema, enorme, la molla scatenante dell'incazzatura e della delusione dei runners è stata la tempistica della comunicazione, a 36 ore più o meno dalla partenza, quando ormai 40 dei 47 mila partecipanti erano già a New York, numerosi dei quali (soltanto nella Bergamasca 58 iscritti) avevano superato mille peripezie per il momentaneo stop del trasporto aereo. Con un sacrificio economico non indifferente. Era lampante che c'erano problemi da mission impossible sia per i trasporti (era stato cancellato il servizio dei traghetti da Manhattan a Staten Island), sia per la sicurezza (numerosi alberi pericolanti in un Central Park, dove si decide la maratona, sbarrato).

Perché una decisione così tardiva? Per garantire comunque business? Dunque ok per le motivazioni e le giustificazioni del sindaco per il fulmineo e radicale cambiamento di rotta («La maratona ha sempre unito la città, stavolta sarebbe stata fonte di e divisione»), ma - ripetiamo - infiniti dubbi per una classica soluzione all'«italiana», anche se siamo negli States. Dove il 6 novembre si vota per le presidenziali. E c'è chi dice che dietro la cancellazione ci siano state - accanto alle legittime rimostranze della popolazione colpita da Sandy - anche pressioni politiche alla vigilia di elezioni. La speranza, che incredibilmente non è ancora una sicurezza quando stiamo scrivendo, è che l'organizzazione restituisca perlomeno la quota del pettorale (420 euro, non bruscolini). In caso contrario, potremmo dire cornuti e mazziati in una New York, sabato con sole, vento e la corrente elettrica che va e viene, molto Little Italy.

Marco Sanfilippo

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