«Nel 2013 Tour e podio mondiale»
Poi Marco Pinotti lascerà il ciclismo

La 4ª partecipazione al Tour de France, 11 anni dopo l'ultima; il podio nella cronometro ai mondiali di Firenze, un anno dopo l'oro e il bronzo persi - a far bene i conti - per 7 secondi in tutto. A 36 anni Marco Pinotti coltiva sogni imprevedibili. «Armstrong? Un bullo».

di Pietro Serina

La quarta partecipazione al Tour de France, 11 anni dopo l'ultima; il podio nella cronometro ai mondiali di Firenze, un anno dopo l'oro e il bronzo persi - a far bene i conti - per 7 secondi in tutto. A 36 anni Marco Pinotti coltiva sogni imprevedibili.

A sentirlo sembra davvero convinto che il prossimo sarà il suo ultimo anno in bicicletta, dopo 15 da professionista. Ma vien da chiedersi come può, uno che sta per scendere dal sellino, puntare al Tour che la sua Bmc proverà a vincere (con Evans, 1° nel 2011, e van Garderen, 5° e miglior giovane quest'anno), e a un podio iridato a cronometro che non ha mai conquistato finora.

Il ciclista-ingegnere-giornalista di Osio Sotto sorride, annuisce considerando l'obiezione sensata, poi risponde indicando la zuppa di legumi che ha scelto per un pranzo tra amici. Circondata da invitanti piatti di pizzoccheri filanti.

«È qui, la differenza - comincia -. Quando hai vent'anni a fine ottobre mangi quel che vuoi, a 36 alimentazione e vita corretta, sopra le tre ore di allenamento al giorno tra piscina, palestra e bicicletta. La stagione comincerà solo a febbraio, ma non importa. A vent'anni ti alleni per migliorare, a 36 è decisivo gestirsi. E non è un sacrificio, se usi la testa ti viene naturale farlo. Così come credere negli obiettivi che ti poni. Io ne ho parlato in società e ho percepito totale fiducia: "Marco, ti sei sempre fatto trovare pronto, sappiamo che lo sarai anche nel 2013. Per noi va bene", mi hanno detto».

A 36 anni farà il Tour de France!
«Sì. Sarà un piacere tornare in Francia dieci anni dopo, e ci saranno tre crono...».

Ma come potrà correre prima il Giro e poi il Tour, e arrivare pronto anche ai mondiali a cronometro?
«Per il Giro vedremo, in squadra siamo in 26 e sarà il club a fare le strategie. Mentre per il Tour ho già ottenuto il via libera. E i mondiali li considero il secondo obiettivo. Me li dovrò guadagnare, certo. Ma si corrono in Italia e io credo nelle possibilità di arrivare sul podio».

Quinto alle Olimpiadi, quarto ma quasi terzo quando è caduto ai Mondiali. Ma Wiggins, Martin, Phinney e Cancellara sono più forti.
«Probabilmente sì se ci si confrontasse tutti al massimo della condizione. Ma non è mai così, e i numeri dicono che pure io, Froome e Kyrienka siamo lì. A Londra ho chiuso quinto a 9 secondi da Phinney. Al Mondiale quando sono caduto ero 4° a 4 secondi da Kyrienka e in rimonta. E nella crono a squadre con la Bmc ho chiuso a 3 secondi dall'Omega che ha vinto l'oro».

Quinto alle Olimpiadi e caduto ai Mondiali significa anche non aver visto… un euro, vien da supporre.
«Suppone bene. Quattro secondi da una parte e tre dall'altra, mi sono fermato a sette secondi dalla gloria e da premi che… beh, avrebbero incrementato di molto il mio ingaggio annuale… Ma me lo sono quasi già scordato, non sono i soldi a cambiarti la vita..»

Detto da lei è credibile: si sarebbe potuto dopare fino al 2005, quando controllavano l'ematocrito e il suo era basso di natura. Con qualche aiutino sarebbe comunque rimasto sotto il limite del 50 e avrebbe vinto di più.
«Mi hanno fatto un controllo a sorpresa la settimana scorsa, ematocrito a 42 e io orgoglioso di essere sempre lì. Se un giorno me lo trovassero anche solo a 47-48 farebbero bene a indagare: non sarei più Marco Pinotti».

Sembra un po' fuori dalla realtà…
«Io proprio non lo capisco, il doping. Mina la salute, spesso in modo irrimediabile. E che gusto c'è a fare una competizione usando strumenti illeciti?».

Facile replicare: li usano tutti… Nell'ambiente è lei il diverso…
«Non è una ragione sensata. E nel ciclismo non sono tutti dopati. Negli ultimi 6-7 anni ho cambiato 70 compagni di squadra, e per tutti metto la mano sul fuoco. Società serie, controlli seri».

Nel gruppo cosa dicono di lei?
«Prima ero una mezza anomalia, il laureato di sani principi…»

Un don Chisciotte: lei faceva le guerre con i mulini a vento.
«Adesso percepisco stima, grande rispetto. Resto l'unico laureato del gruppo, ma col tempo e visti i fatti si sono create relazioni diverse. Che tanti giovani mi vengano a chiedere consigli e suggerimenti è un segnale: le cose stanno cambiando. Più in basso non so, ma nel ciclismo di prima fascia oggi il doping riguarda frange marginali…».

Ma lei dov'è stato di recente? Era dopato anche Armstrong... Non c'è una classifica pulita dal secolo scorso…
«Devo proprio parlare di Armstrong? Bene: era un bullo, lo dicono storia e comportamenti. È cresciuto e ha vissuto da bullo. Da cow-boy, come lo chiamavano. Non si è messo a correre per drogarsi, ma dopo aver cominciato con il ciclismo ha trovato il modo per doparsi. Non credo avrà mai sensi di colpa o pentimenti. Quelli che correvano con lui e hanno confessato stanno molto peggio. Per Armstrong provo compassione, soprattutto perché adesso qualsiasi scelta faccia nella vita sarà sempre perdente. Nessuna opzione: perdente o perdente. Non lo invidio. L'ho creduto pulito fino ai controlli del 2005, ma poi…».

E la fondazione Livestrong?
«Mah, io credo che quella fosse la sua "exit strategy", la via d'uscita. Lui diceva: se tu sei contro di me, allora sei contro la fondazione, quindi non stai con la lotta contro il cancro. Bel paravento. Giusto fare giustizia. Il ciclismo sta migliorando».

Provi a dimostrarlo da ingegnere.
«Facilissimo: in salita si va più piano. Nel 2001 Armstrong scalava l'Alpe d'Huez in 38 minuti, oggi considerati i miglioramenti tecnologici i primi cinque dovrebbero stare tranquillamente sotto i 37 minuti, invece ne impiegano tra i 40 e i 41. Adesso si corre più con le gambe…».

Sparirà il ciclismo, prima del doping...
«Probabilmente sì, ma per il traffico… Scherzi a parte il grande problema è la società che vuol creare idoli. Gli appassionati devono cambiare il modo d'intendere lo sport. Se mi piace il ciclismo salgo in bicicletta, non mi metto a idolatrare il ciclista. In gioventù non ho mai avuto un esempio nel ciclismo, l'esempio era lo stile di vita di mio padre. Nel ciclismo ho sempre apprezzato le imprese, senza avere idoli. Perché sulle bici salgono degli uomini. Sempre».

Così toglie tanta poesia...
«Ricordiamoci sempre che nel ciclismo le cose troppo belle per non essere vere... beh, probabilmente non sono vere».

A fine 2013 smetterà davvero con il ciclismo?
«Scadrà il contratto, avrò 37 anni. Si può smettere di correre, non con il ciclismo. Mi hanno prospettato il ruolo di "performance director". Mi interessa tantissimo».

Scusi ma cosa fa il «performance director»?
«Diciamo l'allenatore, anzi forse meglio dire l'ottimizzatore delle prestazioni. È un ruolo nuovo, di mestiere segui un gruppo di atleti programmandone il lavoro per portarli a rendimenti ottimali durante la stagione. I benefici sono impressionanti».

Ma lei ce l'ha un rimpianto?
«Mi sarebbe piaciuto nascere 10 anni dopo, per vivere a vent'anni il ciclismo di adesso. Probabilmente avrei potuto aiutare mio fratello a pagare il mutuo...».

Vincendo e guadagnando di più.
«Appunto. Ma non mi lamento. Vi assicuro che sta molto peggio Armstrong di me...».

Pietro Serina

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