Ultrà, i verbali dell'inchiesta
Doni:« Il bocia non è un santo»

È farcito di «non so» e «può darsi» il verbale dell'interrogatorio che Cristiano Doni rese in procura il 14 febbraio 2011, davanti al pm Carmen Pugliese, che lo aveva convocato nell'ambito dell'inchiesta sugli ultrà.

di Vittorio Attanà
È farcito di «non so», «mi pare» e «può darsi» il verbale dell'interrogatorio che Cristiano Doni rese in procura il 14 febbraio 2011, davanti al pm Carmen Pugliese, che lo aveva convocato come «persona informata sui fatti» nell'ambito dell'inchiesta sugli ultrà (in cui non è indagato). I corridoi della procura raccontano di un atteggiamento non troppo collaborativo dell'allora capitano dell'Atalanta, tanto da indispettire il magistrato. «Andare a trovare i due tifosi agli arresti domiciliari per gli scontri, accompagnato dal Bocia? Non ci ho visto nulla di male», disse Doni. E poi: «Il comportamento della tifoseria? Non lo valuto, non mi compete».

«Un favore al Bocia»
Il capitano risponde alle domande degli inquirenti sul suo rapporto con il capo ultrà Claudio «Bocia» Galimberti, indagato con l'ipotesi di associazione per delinquere. «In qualità di capitano – illustra Doni – avevo normali rapporti con Galimberti e la tifoseria». Nel verbale d'interrogatorio di Doni trova spazio l'ormai famosa visita di cortesia che il capitano, insieme a Bellini, Tiribocchi e Acquafresca, fece insieme al Bocia a casa di due ultrà agli arresti domiciliari dopo gli scontri di Atalanta-Catania: Gianmaria Vanini e A. M. . «Accettai la richiesta senza problemi», ammette Doni di fronte al pm. «Fu il Galimberti – precisa poi – a chiedermelo, visto che la tifoseria aveva subito con gli arresti e i Daspo un brutto colpo, di fargli il favore di andare a trovare questi due ragazzi. Non ricordo se furono portate delle magliette in omaggio, può darsi ma non me lo ricordo». Il riscontro sul «dono» delle magliette agli arrestati emerge invece dalle intercettazioni.

«Che male c'è?»
Doni non commise reati. Ma per il pm si trattò di un episodio significativo per dimostrare la soggezione della squadra agli ultrà. «Prendo atto – si legge nel verbale di Doni – che il pm mi fa rilevare che motivi di opportunità avrebbero suggerito di non andare a rendere una visita dal significato consolatorio ai due tifosi. Ma io non ci ho visto nulla di male, anche perché non li conoscevo».

«Il Bocia non è un santo»
«È vero – prosegue Doni – che dopo la sconfitta con il Lumezzane ho chiesto scusa a nome mio e di tutta la squadra a Galimberti perché ritenevo che fosse dovuto ai tifosi che ci sostengono. Prendo atto che il pm mi fa rilevare che sembra strano questo atteggiamento di fronte a una tifoseria che si era resa responsabile di fatti violenti. Io le ripeto che non valuto il comportamento della tifoseria in quanto non mi compete. Sono a conoscenza che Galimberti non è un santo e ha avuto una serie di Daspo, nonostante ciò è il leader della nostra tifoseria. Posso non essere d'accordo su quanto la tifoseria fa fuori dallo stadio, ma non devo avere riserve per questo. Del resto lui non è la tifoseria, anche se la rappresenta».

«Ti lascio i giornalini»
I rapporti con il Bocia erano talmente frequenti, che il capitano veniva ingaggiato dal Bocia anche come «pony» per distribuire nello spogliatoio nerazzurro i giornalini della Curva, «la parola della Nord», come la definisce il capo ultrà: «Ho lasciato una decina di giornalini al bar Savoy – è un sms del Bocia per lui – è la parola della Nord. Uno va a te, gli altri portali ai compagni di squadra, che capiscano che noi viviamo di Atalanta. Società vergogna, l'Atalanta al suo popolo. Fango e tacchetti il profumo del calcio, lode a te mio capitano!». «Ok Claudio – risposta di Doni – li porto io negli spogliatoi... sempre a testa alta!».

Il verbale di Ruggeri
Anche Alessandro Ruggeri fu sentito (l'11 febbraio 2011) come testimone dal pm Pugliese. «Il rapporto con la tifoseria – si legge nel verbale – in particolare con gli ultrà capeggiati da Galimberti, non è mai stato eccezionale. La presidenza di mio padre è stata in diverse occasioni contestata, più di una volta ricordo che avevamo fatto ritorno a casa scortati. Abbiamo subito danneggiamenti al centro sportivo di Zingonia, ancor prima di quello del maggio 2010. Il danneggiamento più grave era stato circa sei anni fa, quando erano entrati spaventando il personale, danneggiando la struttura, facendo scritte sui muri».

Belotti e il raid a Zingonia
«Ricordo – prosegue – che quella volta era presente Belotti (Daniele Belotti, ex assessore regionale, nell'inchiesta ultrà indagato per concorso esterno in associazione per delinquere, ndr) e ritengo che in quell'occasione sia entrato scavalcando la recinzione».

La «pandorata» con gli ultrà
Nel corso dell'inchiesta, però, gli inquirenti registrano parecchi scambi di sms e telefonate tra Alessandro Ruggeri e il Bocia, che testimoniano frequenti e amichevoli contatti. «Mi scuso per la prestazione della squadra», scrive il presidente al capo ultrà dopo Atalanta-Lumezzane. «Dichiara qualcosa di forte», gli risponde lui. «Dichiarazioni fatte oggi», assicura Ruggeri. Il 28 novembre 2009 i due concordano di andare a far visita al Gianmaria Vanini, agli arresti domiciliari. «Non ci sono problemi», risponde il presidente. Quando si avvicina il Natale 2009 il Bocia invita Ruggeri a una «pandorata». «Volentieri, verrò sicuramente».

La pizza alla vigilia degli scontri
La sera prima di Atalanta-Inter del 13 dicembre 2009, partita ricordata nell'inchiesta per gli scontri diretti «sul campo» proprio dal Bocia, i due concordano un appuntamento a mezzanotte in una pizzeria nei pressi del Palazzetto. Il 14 dicembre il capo ultrà invita «il presidente e il mister al «covo» per gli auguri (ma alla fine ci va solo Antonio Conte). Infine, i giornalini della Curva: il Bocia li consegna anche tramite il presidente, oltre che il capitano. «Che venga dato ai giocatori», dice perentorio. Quanto alla visita a casa dell'ultrà Gianmaria Vanini, allora ai domiciliari: «Ricordo di essere andato a casa di un ragazzo nella zona di via Broseta, però non ricordo se fosse ai domiciliari». Ma poi i collaboratori del pm gli leggono le intercettazioni in cui lui e il Bocia si accordavano per la visita al Vanini sottoposto ai domiciliari: «Ammetto di essere andato perché me lo ha chiesto Galimberti (...). Prendo atto che il pm mi invita a spiegare il motivo: l'ho fatto per tenere rapporti di un certo tipo con la persona più rappresentativa della tifoseria, anche perché per qualunque cosa riguardasse la tifoseria si passava attraverso il Galimberti».

«I voti della curva»
«Del resto – aggiunge l'ex presidente – a lui si rivolgevano tutti, compresi i politici, per acquisire i voti della curva o quantomeno per dare un indirizzo, tra questi c'era il politico coinvolto in questa indagine». Infine, la vendita della società: «Mi sono determinato a vendere – spiega Ruggeri al pm – per l'ostilità della piazza, in particolare della tifoseria, in quanto non veniva più garantita la tranquillità della mia famiglia». Il pm chiede se il cattivo andamento in campionato della squadra non fosse stato preordinato. «Non sono in grado di dare una risposta precisa – ammette Ruggeri – probabilmente qualcosa più di me la sa l'allenatore Conte».

Il verbale di Randazzo
Anche Giacomo Randazzo, ex dirigente dell'Atalanta, fu sentito a febbraio 2011 dal pm, in particolare riguardo a una telefonata con il Bocia, dopo che a quest'ultimo era stato inflitto un Daspo per essere stato al «Baretto» mentre allo stadio giocava l'AlbinoLeffe. «La legge qualcuno la applica alla sua maniera», aveva detto Randazzo. «Ma ero convinto - si è giustificato con il pm - che il Daspo riguardasse solo le partite dell'Atalanta. Ma certamente nella telefonata non volevo consolare il Bocia o condividere i suoi comportamenti: la legge anche se può non essere condivisa, va rispettata».

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