Conte: Una leggerezza di Osti
E fui insultato da 500 persone

«L'Atalanta inizialmente respinse le mie dimissioni, poi venni contestato. Il giorno dopo le le accettarono. Non so da cosa dipese il cambiamento, mi viene da dire che accettarono per quieto vivere». È una delle dichiarazioni rese da Antonio Conte al pm Pugliese.

«L'Atalanta inizialmente respinse le mie dimissioni, poi venni contestato. Il giorno dopo le le accettarono. Non so da cosa dipese il cambiamento, mi viene da dire che accettarono per quieto vivere». È un passaggio delle dichiarazioni rese da Antonio Conte al pm Carmen Pugliese il 24 febbraio 2011, nel corso di un interrogatorio come persona informata sui fatti nell'ambito dell'inchiesta sugli ultrà. «Le dimissioni respinte» «Dopo la partita del 6 gennaio 2010 contro il Napoli – ricostruisce l'allenatore – mi dimisi come allenatore in quanto ero deluso dalle aspettative della società. Ricordo che al termine di questa partita uscii dagli spogliatoi e parlai con i tifosi. Parlai anche con il presidente e il direttore Osti, ai quali feci presente che per salvarci avremmo dovuto intervenire sul mercato sia negli acquisti, sia nelle vendite, anche perdendo qualche giocatore che da anni militava nella squadra. Il presidente mi ribadì che ci saremmo salvati in ogni caso e al termine della partita respinse le mie dimissioni, invitandomi a tornare a casa e riflettere».

«La leggerezza di Osti»
«Nel frattempo il direttore Osti, che era presente alla parte iniziale del mio discorso con il presidente, uscì perché chiamato all'esterno dai tifosi e poi tornò per portare anche me ad incontrarli. Io ero convinto di incontrare una delegazione di loro, uscii non sapendo che Osti aveva avuto la leggerezza di farmi trovare 500 persone che all'inizio ascoltarono quanto dicevo (con 6-7 più rappresentativi ebbi un discorso normale), poi la situazione degenerò perché il gruppo dei 500 iniziò con insulti vari legati anche al mio passato juventino».

«Il sì per quieto vivere»
«In quella circostanza non vidi il Bocia. Il giorno seguente – prosegue l'ex allenatore dell'Atalanta, ora alla Juve – incontrai il presidente e la dirigenza al centro Bortolotti. Capii da subito che loro avevano cambiato posizione nei miei confronti, ovvero non erano più così contrari alle mie dimissioni, anzi le accettarono subito. Non so da cosa dipese questo cambiamento di posizione, ma mi viene da dire – sostiene il mister – che accettarono "il quieto vivere", anche se poi venne attaccata mediaticamente anche la dirigenza, confermando quanto io avevo previsto, cioè che dopo l'attacco all'allenatore sarebbe arrivato quello alla società».

«Ripresi Doni davanti a tutti»
«Al mio arrivo trovai un ambiente deluso, in quanto l'Atalanta non aveva ancora vinto una partita di campionato. Il mio lavoro portò buoni risultati: la squadra ebbe cinque risultati utili consecutivi. La sesta partita, giocata a Livorno, fu la prima sconfitta e negli spogliatoi ebbi un diverbio con Doni. Lui tirò un pugno alla porta, poi anche io lo feci per far capire che anche io sapevo tirare un pugno. La reazione di Doni fu determinata probabilmente dal fatto che lo ripresi davanti a tutta la squadra. Il giorno dopo feci ai giocatori un discorso incentrato sulla necessità di pensare al "noi" e non all'"io". In seguito, mi accorsi che qualcosa si era inceppato. Poi iniziò un attacco mediatico molto forte nei miei confronti».

Gli sms al Bocia
Conte sostenne poi davanti al pm che prima di Atalanta-Napoli la tifoseria era con lui: le contestazioni erano per lo scarso impegno dei calciatori. Del resto anche Conte intrattenne frequenti e amichevoli rapporti con il capo ultrà Claudio «Bocia» Galimberti, principale indagato nell'inchiesta, mandandogli persino un sms dopo una condanna penale: «Ho letto che ti hanno dato 5 mesi, mi dispiace».

V. A.

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