«Il defibrillatore si doveva usare»
È la perizia del gip su Morosini

I periti del gip hanno confermato che Morosini morì per «cardiomiopatia aritmiogena». «Il decesso è inquadrabile come morte improvvisa cardica aritmica, secondaria a cardiomiopatia da cui era affetto, precipitata dallo sforzo fisico intenso». Medici tirati in ballo perché non usarono il defibrillatore.

I periti del gip - secondo quanto appreso dall'Ansa - hanno confermato nelle loro conclusioni che il calciatore bergamasco Piermario Morosini morì per «cardiomiopatia aritmiogena». «Il decesso - scrivono - è inquadrabile come morte improvvisa cardica aritmica, secondaria a cardiomiopatia da cui era affetto, precipitata dallo sforzo fisico intenso».

«Tutti i membri dell'equipe medica hanno omesso di impiegare il defibrillatore». I medici sono chiamati «a detenere nel proprio patrimonio di conoscenza professionale il valore insostituibile del defibrillatore»: lo scrivono i periti del gip nella consulenza sulla morte del giocatore del Livorno che morì in campo a Pescara nella scorsa primavera.

I periti nominati dal gip Maria Michela Di Fine - Vittorio Fineschi, Franco Della Corte e Riccardo Coppato - le cui conclusioni verranno dibattute nell'incidente probatorio il 19 aprile prossimo, hanno anche esaminato le responsabilità dei quattro medici intervenuti il 14 aprile 2012 intorno al calciatore collassato in campo durante Pescara-Livorno.

Sul registro degli indagati ci sono il medico del Livorno Manlio Porcellini, quello del Pescara Ernesto Sabatini, il responsabile del 118 dello Stadio Vito Molfese e il primario dell'ospedale di Pescara Leonardo Paloscia. Se il medico del Pescara «in qualità di responsabile del soccorso nel campo della squadra ospitante era chiamato a conoscere la disponibilità della strumentazione - scrivono i periti - l'assoluta incardinata attività posta in essere da tale sanitario comunque dati i tempi di intervento riveste sicura dignità causale nel concretizzarsi dell'exitus del Morosini».

Per ciò che riguarda il medico sociale del Livorno «sono riconosciute differenti incongruenze comportamentali, per il ruolo di non ospitante. Tuttavia anche egli avrebbe dovuto ricercare il defibrillatore», perché avrebbe sfruttato «l'incomparabile opportunità di intervenire precocemente mediante defibrillazione esterna in un momento in cui la probabilità di pieno recupero del circolo cardiovascolare è massima (è il primo sanitario giunto nell'assistenza a Morosini). Tale omissione diagnostica-terapeutica, pertanto, riveste ruolo causale nel determinismo dell'exitus di Morosini».

Ma secondo i periti «il ruolo più delicato» è rivestito dal medico del 118, Vito Molfese. A lui «sono addebitabili i maggiori profili di censurabilità comportamentale». «Pur intervenendo in un momento successivo rispetto ai primi due medici, si deve a lui riconoscere, tuttavia, il ruolo di leader che egli avrebbe dovuto assumere, procedendo immediatamente alla ricostruzione degli atti di soccorso praticati dai colleghi, immediatamente riconoscendo l'assenza di impiego del defibrillatore ed operandone l'impiego ad un tempo in cui una defibrillazione esterna si sarebbe associata ad una probabilità di sopravvivenza ancora piuttosto elevata (circa 60-70 per cento)».

Più sfumato il ruolo del primario di cardiologia Paloscia perché quando interviene «solo residue chance di sopravvivenza erano ormai ipotizzabili nel Morosini al momento dell'intervento», e in conseguenza «per cui nessun rilievo causale è da assegnare all'erroneo comportamento di tale medico».

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