Quella sedia alzata ad Amsterdam
Il Mondo: bisogna non aver paura

Alla fine quel gesto può essere interpretato a piacimento, come ha confermato lo stesso protagonista, quando ormai sono passati più di 20 anni. È la sedia del Mondo, ospite all'oratorio di Ponte San Pietro, quella alzata al cielo di Amsterdam.

Alla fine quel gesto può essere interpretato a piacimento, come ha confermato lo stesso protagonista, quando ormai sono passati più di 20 anni. È la sedia del Mondo, ospite all'oratorio di Ponte San Pietro, quella alzata al cielo di Amsterdam nella finale di Coppa Uefa con il Torino 1991/92, quella che ha dato il titolo a una raccolta di articoli di Emiliano Mondonico, pubblicati sul «Corriere della Sera».

Il ricavato della vendita dei libretti andrà all'associazione di alcolisti anonimi con la quale il Mondo collabora ormai da una decina d'anni. È stato un viaggio nella storia dell'allenatore di Rivolta d'Adda, dall'infanzia passata in oratorio, al ruolo dell'allenatore, al calcio di adesso, fino al male che lo ha colpito nel 2009 e dal quale si è ristabilito, arrivando al difficile ruolo dei genitori e alle dipendenze.

Il messaggio che resta? Nella vita di oggi non conta partecipare, ma vincere, poi magari si arriva secondi, ma non si deve smettere di lottare. L'evento è stato organizzato dal Comune di Ponte San Pietro, in collaborazione con la Polisportiva Ponte San Pietro, le parrocchie di Ponte San Pietro e Locate, l'Us Giemme e l'Us Locate e ManagerItalia con il patrocinio della Provincia e di Promoisola.

C'è anche il passato del Mondo, ma anche il futuro. Il primo è quello che lo emoziona, lui e gli ospiti in sala, quello della malattia. «Una battaglia che continua, non sei mai vincente - ha affermato Mondonico -. In questo momento le cose stanno andando bene, ma ci si può ritrovare a combattere da un momento all'altro e se dovesse ricapitare sono pronto come allora a cercare di controbattere».

«Vivere in una certa maniera aiuta a far sì che questi mali non crescano, ecco perché è importante preservare fin da ragazzi il proprio futuro. Non dobbiamo avere paura, perché quando si lotta per vincere non bisogna avere paura, Lui sa che lotterò fino alla fine e anche più in là e allora vedremo chi l'avrà vinta. Se non ci fosse stato mio nipote non so se avrei avuto la forza per continuare a vivere: ogni volta che lo vedo gli devo dire grazie».

Il futuro è quello da allenatore, perché Mondonico non vede l'ora di tornare a sedersi su una panchina, e nelle ultime settimane il suo nome è stato affiancato a quello dell'AlbinoLeffe. «C'è voglia di tornare ma non dipende da me: chi non mi vuole non mi merita. Adesso ho queste panchine importanti, che si chiamano primi calci e alcolisti anonimi, gente che mi dà più di quello che riceve da me. Con l'AlbinoLeffe c'è un grande rapporto di amicizia, con la società, con il presidente e la cosa non mi può che fare piacere».

Tornando a quella sedia al cielo, la domanda di un allenatore in sala gli permette di lanciare un segnale, quasi un consiglio ai suoi colleghi più giovani. «Alle volte un allenatore deve fare delle cose impensabili. Sei in una finale di Coppa contro una squadra più brava di te e pensi che i tuoi giocatori non devono avere paura, glielo puoi dire, ma la paura la senti».

«Lì bisognava andare oltre la paura, ed ecco il gesto clamoroso, che è venuto dall'istinto e ha dato ai giocatori l'impressione che tu c'eri e non avevi paura a tal punto di alzare una sedia contro tutto e contro tutti: se fai un gesto del genere stai tranquillo che i tuoi ragazzi non indietreggiano di un metro. I mestieri s'imparano, ma bisogna averlo dentro. Ho capito che quel gesto è stata una liberazione per i miei giocatori».

Due ore e mezza di chicche, da una gara di salami con un tifoso dell'AlbinoLeffe che in ogni partita criticava la sue scelte, passando per i suoi amori da allenatore (Torino, Cremonese, Atalanta) a quello da tifoso per la Fiorentina. Calcio e vita vissuta e l'ultimo importante appello ai genitori, il ruolo più difficile, ad aiutare i propri figli, stargli vicino e dialogare con loro. La sedia è al cielo, ma il migliore amico è rotondo: «Da piccolo avevo sempre il pallone con me, è sempre stato il mio migliore amico, non mi ha mai tradito».

Simone Masper

© RIPRODUZIONE RISERVATA