Addio ad Antonio Albanese
avvocato della spada a Bergamo

Antonio Albanese non ce l'ha fatta ed è volato via. Aveva 75 anni. La moglie Adelina perde l'amore della vita, Bergamo perde un galantuomo, uno stimato uomo di legge, ma anche uno spadista che dette lustro alla scherma bergamasca a livello internazionale.

Antonio Albanese non ce l'ha fatta ed è volato via. Aveva 75 anni. La moglie Adelina perde l'amore della vita, Bergamo perde un galantuomo, uno stimato uomo di legge, ma anche uno spadista che dette lustro alla scherma bergamasca a livello internazionale, con tre Universiadi e l'Olimpiade di Città del Messico nel '68, dove contribuì a un onorevole sesto posto azzurro, dietro allo strapotere degli squadroni dell'est.

Terminata l'attività agonistica, parallelamente alla professione di avvocato, è sempre rimasto nel suo mondo, quello della scherma: fu dirigente dell'Aramis e poi, sempre al fianco di Nando Cappelli, nella Bergamasca e, dall'ottobre del 2007, nella Scherma Bergamo, che contribuì a fondare. Appassionato di tennis, Albanese amava tenersi in movimento e aveva anche superato un malessere che qualche anno or sono ne aveva limitato l'attività sportiva. La vita iniziò a metterlo alla prova già quindicenne: era il 2 febbraio del '53 e, studente del Sarpi, era in gita col pullman alla volta di Madonna di Campiglio. Aveva assegnato il sedile vicino al finestrino, ma il suo compagno fece le bizze e Antonio finì per cedergli il posto. Il pullman, strada facendo, sbandò e finì contro il lastrone di un muretto che penetrò nelle lamiere come un apriscatole: l'amico morì sul colpo e Antonio rimase incastrato nei sedili. Ci vollero due ore per liberarlo, ma la gamba sinistra era fratturata in sei punti. I chirurghi scongiurarono l'amputazione, ma i muscoli, miracolosamente ricuciti, non rispondevano più. Ci vuole una salutare pratica sportiva per salvarne la funzionalità e Antonio, con la rabbia di chi si sente in debito col destino e grazie alla complicità del bidello del Sarpi, assalta funi e pertiche per risvegliare la sua gamba assopita.

Ma la svolta è sotto casa sua, dove abita il ragionier Egidio Mazzucconi, maestro di scherma, che gli propone di tentare con la pedana. I primi tempi sono durissimi e non mancano le umiliazioni, ma ben presto Albanese fa vedere di che pasta è fatto: passa dal fioretto alla spada e, nel '59 entra nel giro azzurro, dopo essersi piazzato settimo agli Assoluti. Riserva tra gli olimpionici di Roma, vince l'oro alle Universiadi di Sofia l'anno seguente. Cambia casacca e con rammarico dalla Libertas Bergamo approda alla storica «Del Giardino» di Milano. Bronzo alle Universiadi di Porto Alegre ('63), terzo agli assoluti d'Italia ('64), quarto alle Universiadi di Budapest ('65), vinte dal leggendario magiaro Zoltàn Nemere, che si complimentò con Antonio, autore di una pregevole quanto sfortunatissima semifinale. Poi Città del Messico '68, una prestigiosa presenza alle Olimpiadi e il sesto gradino a squadre. A 37 anni Albanese è ancora in pedana e si porta a casa un bronzo agli Assoluti tra l'ammirazione dei più giovani. La scherma, se ti entra nel sangue, non ti lascia più. Nemere è volato via nel 2001. È da un pezzo che aspettava Antonio per scambiare due affondi.
Pier Carlo Capozzi

© RIPRODUZIONE RISERVATA