Atalanta-Malines, noi che c’eravamo
Quella febbre contagiò tutti, mai spenta

Trent’anni, a volte un soffio di vento, a volte un’eternità. Per i tifosi nerazzurri non proprio sbarazzini, quel ritorno di semifinale segna uno spartiacque difficilmente contestabile. La nostra storia più recente si divide infatti tra «prima del Malines» e «dopo il Malines», indicando i fiamminghi come portabandiera di quel fantastico cammino in Coppa delle Coppe.

Dal momento che, tanto per dirne una, non è che il gol di Cantarutti a Lisbona e il rientro ad Orio della truppa atalantina con Cesare Bortolotti atteso dal papà Achille siano stati leggendari da meno.

Tutto il cammino fin lì, splendidamente gestito da Emiliano Mondonico, aveva portato Bergamo all’attenzione di tutta Italia prima e di tutta Europa poi. Da sette squadre partecipanti alle tre competizioni, l’Atalanta s’era infatti trovata ad essere l’unica a rappresentare il calcio di casa nostra. E l’orgoglio e l’adrenalina, dopo lo spavento iniziale gallese, lievitarono in città partita dopo partita. Considerando che la Coppa Italia del 1963, l’unico trofeo importante in bacheca, era stata vissuta con molta compostezza per la scomparsa quasi contemporanea di Papa Giovanni, appare chiaro come le scorribande dei ragazzi di capitan Strömberg rappresentassero l’inseguimento di un sogno fin lì impensabile.

La febbre aveva contagiato tutta la provincia, in modo assolutamente trasversale. Si andava dalle vetrine che avevano cambiato colore, ai bar che s’erano attrezzati con televisori più grandi e sedie triplicate, a serissimi professionisti che sfoggiavano lo stemmino nerazzurro sulla giacca.

Avevamo finalmente preso consapevolezza che anche noi avremmo potuto combinare qualcosa da mandare a memoria. E così fu. Poco importa se abbiamo perso la semifinale anche per una semirovesciata del loro stopper dal piede ruvido, uno che non riuscirebbe a ripetere la prodezza tentandoci un milione di volte. E per un palo di (un poco) Fortunato. E per un rigore negato dal capostazione russo per fallo evidente su Strömberg che Glenn non ha ancora digerito dopo trent’anni. L’importante è stato vivere quei giorni, riempire all’inverosimile lo stadio quella sera, vedere che la febbre aveva ormai contagiato tutti, agnostici compresi. Almeno tre generazioni si portano ancora vivi quei ricordi dolcissimi. Senza dimenticare le successive belle imprese in Coppa Uefa ‘91. E crediamo fortemente che la voglia attuale di Europa affondi le radici trent’anni fa, il seme gettato ha dato i suoi frutti, c’è voluto tempo, ma sono arrivati e non pare finita qui.

Da Mondonico a Gasperini. Per chi non lo sapesse, gli abitanti di Malines sono soprannominati «Coloro che spengono la luna». Lo fecero quel mercoledì lontano, ma non riuscirono a spegnere la nostra volontà di sognare ancora.

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