Atalanta, senza i due cartellini rossi
avremmo fatto punti col Chievo?

Dove sta scritto che senza espulsioni l’Atalanta non avrebbe perso col Chievo? Certo, prima del rosso di Cherubin (un’ingenuità, la sua, da mani nei capelli) si era ancora sullo 0-0. Ma la prestazione, sino allora, dei nerazzurri era l’esatto contrario di quella spumeggiante certificata nel blitz di Roma (sponda giallorosa) e nel 3-0 inflitto al Palermo. Insomma, altro che presupposti di continuità in risultati e in maturità allargata nel più ampio senso del termine.

Sul manto erboso dello stadio veneto per alcuni aspetti si era rivista, dalle battute iniziali, l’Atalanta deludente di Bologna e di quella casalinga col Torino. Ecco perché vale la pena ribadire che anche in parità numerica gli atalantini avrebbero potuto rientrare a Bergamo ugualmente privi di fieno da collocare in cascina.

Al tempo stesso, però, guai sorvolare sui cartellini a disposizione dei direttori di gara per punire gli indisciplinati. Nove in sedici partite disputate sono oltremodo troppe specie se come nel caso di Cherubin i falli non sono legati a episodi di gioco vero e proprio. Compito di intervenire sulle uscite anticipate dal campo spetta, alla ripresa degli allenamenti, al mister e alla società. A Edy Reja il ruolo dello psicologo; alla dirigenza sul resto. Da sempre, comunque, esiste una corrente di pensiero differente. C’è infatti chi giustifica (una buona minoranza, per la verità) il comportamento dei giocatori al di là delle norme vigenti in un eccessivo attaccamento alla squadra di appartenenza. In altre parole, la dismisura di carattere e foga messi in atto sarebbero sinonimo di particolare devozione alla propria maglia. In ogni caso, però, i provvedimenti degli arbitri determinano, poi, le immancabili sanzioni del giudice sportivo con le conseguenze di impoverire l’organico nella domenica successiva di campionato.

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