«Ci ho provato, non ho rimpianti»
Deborah racconta la sua Olimpiade

Dalla missione compiuta a mission impossible la differenza sembra minima ma è quella che divide Deborah Scanzio, l’azzurra di Casazza (sì, ormai l’abbiamo adottata definitivamente) dall’Olimpo delle prime sei atlete che nella «big final» del freestyle moguls (gobbe) si sono giocate le medaglie.

Dalla missione compiuta a mission impossible la differenza sembra minima ma è quella che divide Deborah Scanzio, l’azzurra di Casazza (sì, ormai l’abbiamo adottata definitivamente) dall’Olimpo delle prime sei atlete che nella «big final» del freestyle moguls (gobbe) si sono giocate le medaglie ieri sera nel X-treme Park di Rosa Khutor alle Olimpiadi di Sochi.

Missione compiuta perché l’obiettivo minimo della nostra portacolori era l’accesso alla finale a venti ottenuto con un’ottima prova nel ripescaggio di ieri pomeriggio dove ha chiuso con il secondo miglior punteggio. Recupero necessario dopo la mancata qualificazione diretta nella prima run di giovedì sera, quando ancora il tedoforo non era giunto nello stadio di Sochi ad accendere il braciere olimpico. Tredicesima, ad un passo dalla qualificazione diretta ma con la consapevolezza di averla nelle gambe e soprattutto nella testa. «Non sono arrabbiata perché so dove e come ho sbagliato, per cui ho margine» ci aveva detto quest’atleta «filosofa» che non nascondeva le sue ambizioni addirittura per la finalissima a sei. «Ero veloce senza rendermene conto quindi posso andare più forte, se poi sistemo il secondo salto… fatti i conti potrei entrare nella “Big Final” e lì poi tutto può succedere».

Dunque missione compiuta e speranze pienamente accese visto che anche nella prima delle scremature finali è riuscita di nuovo a passare il turno entrando tra le prime dodici. Ma all’ultima selezione, quella che ne avrebbe dimezzato il numero, qualcosa non è andato per il verso giusto visto che dal sogno a sei Deborah si è risvegliata undicesima. Mission impossible mancata quindi. Olimpiade finita a guardare le altre spartirsi il prezioso metallo olimpico andato per la cronaca al collo delle sorelle canadesi Justine e Chloe Dufour-Lapointe, oro e argento, davanti alla campionessa uscente, l’americana Hannah Kearney che dopo le ottime prove delle qualifiche già sognava lo storico bis.

«Dovevo inventarmi qualcosa per entrare nella “big” - le sue parole a caldo - per cui ho puntato sulla velocità. Spesso in passato ho corso con il freno a mano tirato e pur essendo molto precisa nello stile e nei salti ho scontato la scarsa velocità. Stavolta ho deciso di fare il contrario ma non ha pagato, visto che nonostante il miglior tempo assoluto i giudici non mi hanno perdonato gli errori commessi. Chi invece ha fatto la lumaca ma è stata perfetta è andata avanti. Sono un po’ confusa, forse il sistema va rivisto».

A vederla in effetti sembrava una molla, tutte quelle gobbette affrontate ad una velocità doppia delle altre con le gambe che sembravano pistoni pneumatici tanto rimbalzava da una all’altra, e poi quei due trampolini che la proiettavano verso l’alto con capriole e avvitamenti, da dove guardava lo stadio a testa in giù nel buio del cielo di Sochi sopra la pista illuminata a giorno dai riflettori. Eppure non è bastato, «non è bastato essere velocissima, a volte ero più che al limite, mi dicevo: adesso vado, e invece all’ultimo recuperavo ma con delle sbavature che i giudici hanno giudicato molto severamente. Non so, sono combattuta. Sono serena perché torno a casa senza rimpianti, con la certezza di averci provato. Ma penso anche al mio score olimpico, nona a Torino, decima a Vancouver e undicesima qui, è vero che il livello delle altre è molto aumentato, ma mi sembra di essere un gambero».

A Pyoeongchang 2018 avrà 31 anni, cercherà là il suo riscatto? «Non so. Sono una che non molla, ma a volte ho paura che mi abbiano un po’ bollata come mediocre per cui mi viene voglia di smettere. Poi però penso che ci sono freestyler che a quell’età dicono ancora la loro, e che comunque visti i risultati anche di stasera non sono così lontana dal vertice, per cui potrei proseguire. Forse è un po’ presto per decidere, così a caldo. Avevo detto che, felice o delusa, da stasera mi sarei goduta comunque il villaggio olimpico. Bene, ho intenzione di farlo, anche se speravo nella prima ipotesi. Mi fermerò qui fino alla gara del mio compagno di squadra Giacomo Matiz, farò un gran tifo. Poi qualche giorno a casa a ricaricare le batterie e ad inizio marzo mi rigetterò nella mischia nelle prossime gare di Coppa del Mondo in Giappone».

Mauro De Nicola

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