Lega e Figc, grandi manovre per la riforma dei campionati

Entrambe preparano una rivoluzione per il 2005, ma se trovano un accordo il progetto potrebbe scattare subito. La proposta: serie A a 20 squadre (con 3 retrocessioni e 5 promozioni) e una B a 2 gironi da 12 squadre l’uno

All’uscita dall’ultimo Consiglio Federale, ai primi di marzo, Franco Carraro dichiarò che il progetto Abete (una serie A a 18 squadre, 2 B da 18 e 3 C da 20), aveva riscosso ampio consenso. Carraro aveva sottolineato la mancanza di proposte dalla Lega di A e B, un modo come un altro per dire che, non essendoci alternative, sarebbe passato il progetto di Abete. Riconosciuta la necessità di un progetto credibile da contrapporre a quello di Abete, la Lega ha elaborato una proposta che prevede una B a 20 squadre divise in due gruppi da 10 e che lascerebbe invariata la serie A.

La discussione fra le parti può ora iniziare e non ci stupiremmo se l’accordo venisse raggiunto su una proposta che fonda i 2 progetti. Un piano di cui finora la Lega non ha ancora parlato, almeno ufficialmente, per evitare di bruciarlo. La proposta prevede una serie A a 20 squadre – in linea quindi con i campionati inglese e spagnolo – e una B a 2 gironi da 12 squadre l’uno. A questa formula, che potrebbe partire già dalla prossima stagione, si giungerebbe riducendo, solo per la prima stagione, il numero di retrocessioni dalla A alla B da 4 a 3. Le promozioni dalla B sarebbero 5 invece di 4. Verrebbero bloccate le retrocessioni dalla B alla C1, da cui salirebbero 6 squadre, le 4 già previste più 2 ripescate.

La forza di questo progetto risiede nel maggior consenso che sulla carta vanta rispetto ai due progetti originari. Esso metterebbe infatti d’accordo A e B, senza scontentare la C, i dilettanti, i calciatori e gli allenatori. Piace in primo luogo ai club di A che con 2 partite casalinghe in più a stagione potrebbero aumentare i propri incassi da stadio del 10% e presumibilmente pure gli introiti televisivi. Un vantaggio ancora maggiore otterrebbero i club coinvolti nella lotta per non retrocedere. L’aumento delle promozioni in A farebbe contenti i club di B delle zone alte della classifica, mentre il congelamento delle retrocessioni in C entusiasmerebbe gli altri sodalizi e aiuterebbe il calcio meridionale, che rischia di veder assottigliata la propria presenza nei massimi campionati. I club di A potrebbero approfittare della soddisfazione della B per abrogare l’accordo sulla mutualità e risparmiare in un colpo solo 200 miliardi a stagione. Per raggiungere più facilmente l’intesa con le società di B, la A potrebbe concedere loro questo contributo ancora per un anno.

Un ostacolo al progetto di riforma potrebbe essere rappresentato dalla serie C che non accetterà tanto facilmente di essere l’unica componente a ridimensionarsi, senza ottenere alcun vantaggio, a parte i 2 posti aggiuntivi in B: 128 club professionistici sono infatti troppi, come confermano i principali campionati europei (l’Inghilterra ne ha 92, la Spagna 102) e la riduzione del numero è stata promessa ai politici, a parziale contropartita del decreto salva-calcio.

Per appoggiare la riforma, Macalli potrebbe chiedere 2 ulteriori ripescaggi in B, a scapito delle ultime 2 del campionato cadetto. Questa richiesta permetterebbe di garantire un minimo di regolarità al campionato di B che verrebbe completamente esautorato dall’eliminazione delle retrocessioni. Mantenendo invariato il numero di club per girone, due sarebbero le possibili configurazioni della nuova C, a seconda che si scelga un unico livello o si confermino i due esistenti. Si potrebbe conservare la divisione fra C1 e C2 riducendo a 2 il numero di gironi della C2, oppure si potrebbero creare 4 gironi di C, come in Spagna. La seconda ipotesi è preferibile perché verrebbero ridotti i costi delle trasferte e crescerebbe il numero dei derby.

In entrambi i casi i club professionistici diverrebbero 116, ovvero 2 in più di quanti previsti dal progetto Abete, per la soddisfazione non solo della C, ma anche di calciatori e allenatori che beneficerebbero di posti di lavoro superiori alle previsioni. Per assicurarsi un appoggio ancora più forte dell’Assocalciatori, che detiene il 20% dei voti in Consiglio Federale, verrebbe introdotta una regola che imponga ai club di schierare almeno sei italiani in campo e che porterebbe alla liberalizzazione del tesseramento dei giocatori extracomunitari.

Il progetto dovrebbe piacere anche al Governo, perché si pensa di accompagnarlo con una norma che obbligherà gli azionisti dei club a versare il 60% delle perdite in denaro contante. Grazie a questi soldi verrebbero saldati i numerosi debiti che molti club vantano con il fisco e gli enti previdenziali. Sembra quindi che questa riforma possa produrre solo dei vincitori e questo costituisce il requisito migliore perché si giunga ad una rapida approvazione.

(04/04/03)

Giovanni Cortinovis

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