Una maratona per sfidare i propri limiti
250 km nel deserto ricordando un amico

Due indizi fanno una prova: il poliziotto in pensione Angelo Pessina dalla ricerca dei delinquenti si sta specializzando in quella del limite.

Un anno dopo l’Oman, stavolta la sua impresa è stato un certificato di finisher alla temibile Marathon Des Sables, circa 250 km in regime di autosufficienza alimentare nel deserto tra Algeria e Marocco: «L’ho chiusa portando nel cuore il mio amico Dario Consoli: nelle gioie e nei dolori lui è sempre stato con me».

È capitato per sei giorni, quanti la durata di una delle ultra più dure al mondo, tra sabbia, rocce, montagne e paesaggi scolpiti nella memoria: «Come l’arrivo della penultima tappa, quella di 86 km - racconta il 56enne di Azzano San Paolo - . Il sole era calato, sembrava di stare sulla luna». Per la cronaca ha chiuso con un onorevole 91° posto (su 1.000 iscritti, crono 30h43’, migliore M55 al mondo), e sarebbe potuta andare anche meglio. Nelle ultime tre tappe, ha dovuto alternare corsa e cammino veloce causa vesciche: «Per necessità mi sono inventato chirurgo e me lo sono tagliate da solo - ride ma non troppo Pessina (ritrovatosi con le suole delle scarpe bruciate a causa dell’escursione termica) -. La forza per non fermarmi? Me l’ha data il contesto».

Già, ci sono cose che certi runner non possono immaginare. Correre da soli con la proprio ombra, trovandosi la via tracciata dal passaggio dei cammelli: «Alcuni dei quali neri, pericolosi perché scalciano e mordono: non li avevo mai visti prima». Come un unicum è stato passare la notte mezzo a una tempesta di sabbia, emozioni forti: «Ci hanno fatto stendere sotto la tenda dicendoci di stare tranquilli: non restava che aspettare, altra lezione». Già, la Marathon Des Sables di Pessina (anima organizzativa dei Runners Bergamo) è stata una lezione di vita oltre che agonistica.

Esperienze così fanno rivalutare i comfort della vita quotidiana: «L’acqua era oro: ne avevamo a disposizione 7,5 litri al giorno, e dovevamo prepararci pure da mangiare». Facendo tornare a una dimensione più essenziale dei rapporti umani: «In tenda eravamo in sette, tutti italiani, e non sapete quanto abbiamo fantasticato sull’idea di una pizza. Peccato non ci fosse uno dei miei amici più cari…». Già, alla Mds (con dedica finale alla moglie, Rosa Cilia, e ai dottori Nicola Valerio e Bruno Sgherzi) ci è andato anche per onorare la memoria di Consoli, scomparso a febbraio: «All’arrivo ho sparso parte delle sue ceneri che avevo nello zaino: Dario aveva finito questa gara nel 2016 e la voleva ripetere».

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