Alzano, 61enne guarito dal Covid
vince pure la lotta con la burocrazia

Dimessosi dalle Poste, per motivi di salute confidava nella pensione, ma all’Inps non risultavano i contributi figurativi. Questione risolta, dopo 4 anni.

Non aveva fatto i conti con la burocrazia, lui che i conti li ha fatti per oltre quarant’anni, negli uffici di Poste Italiane dove ha sempre lavorato. Apri chiudi aggiorna libretti postali e buoni fruttiferi per una vita, ora che è il momento di andare in pensione, per Angelo Colombo, 61 anni di Alzano Lombardo, s’è aperta un’Odissea. Quasi più fastidiosa della malattia che l’ha tenuto fermo per due mesi, facendogli rischiare di perdere la vita. Già, perché se il Covid-19 l’ha costretto a un pit-stop doloroso e pesante, lasciandogli dopo la guarigione «una stanchezza cronica e un’estrema sensibilità alle infezioni», afferma, e convincendolo a lasciare il lavoro, ora la causa delle preoccupazioni è un fastidioso rimpallo tra diversi uffici, «lo scaricabarile» che si mette tra lui e la meritata pensione.

«Dopo aver fatto eseguire accurati controlli sul mio estratto contributivo all’Inps – spiega Colombo – il 1° agosto scorso mi sono dimesso dal lavoro in Posta, perché non ero più in grado di svolgere quel lavoro. Stando a quanto mi risulta, dovrei riscuotere la prima pensione ad aprile 2021. Dico “dovrei”, perché finora non mi è stata data nessuna garanzia. Stando al mio estratto contributivo di lavoratore dipendente, infatti, mi mancherebbero poco più di tre mesi per raggiungere l’anzianità necessaria (42 anni e 10 mesi). Quattro mesi è invece il periodo corrispondente al congedo parentale di cui ho goduto e i cui contributi figurativi, per misteriosi motivi, l’Istituto Postelegrafonici non ha mai trasmesso a Inps».

L’ex direttore delle Poste di Ranica già dal 2017 sta cercando di vedersi riconosciuti tali contributi, ma senza risultato. «Ad agosto 2020, sfiduciato, avevo persino presentato domanda di riscatto oneroso di tale periodo, ma dall’Inps di Bergamo mi venne risposto che il riscatto non è possibile: debbo avanzare pratica di ricongiunzione gratuita. A dicembre 2020 ho quindi sollecitato ad Ipost (ora Fondi Speciali Inps, a Milano) la pratica di ricongiunzione giacente dal 2017, ma mi è stato risposto che li debbo riscattare onerosamente. Insomma, il classico rimbalzo di responsabilità, con due uffici dello stesso ente che dicono esattamente uno l’opposto dell’altro. Mi è stato persino proposto di attendere qualche mese in più – aggiunge - e di presentare domanda di pensione con Quota 100. A parte il fatto che non intendo avvalermene per le limitazioni che “quota 100” comporta, trovo offensivo che mi si proponga di rinviare il godimento di un mio diritto solo a causa dell’incapacità altrui».

Colombo era pronto a intraprendere un’azione legale «con dispendio di altro tempo, altri soldi, altra rabbia», fa notare lui, ma fortunatamente «grazie al “cumulo” con i contributi della Gestione separata, contributi che non erano nemmeno stati presi in considerazione da chi ha esaminato la mia domanda di pensione, potrò chiudere il cerchio».

Ma dall’Inps di Bergamo, interpellata su questo caso, la buona notizia: i contributi figurativi sono stati riconosciuti. «In effetti è stata una pratica difficile ma che alla fine si è risolta – fanno sapere dall’Inps –. Il problema è nato per dei periodi di congedi parentali che in un primo momento pareva non poter essere riconosciuti ma che poi il Polo regionale Poste Italiane dell’Inps ha inserito nella posizione assicurativa del signor Colombo. Questo ha permesso allo stesso di maturare i requisiti per il pensionamento. Pensione alla quale è stato anche riconosciuto, solo ai fini della misura, un periodo di versamenti in gestione separata. Ci scusiamo per il disagio del signor Colombo».

Ora che si chiudono quasi quattro anni di patemi d’animo per la questione pensione, il ricordo va alla scorsa primavera, ai giorni terribili della malattia. Tutto comincia il 20 febbraio 2020 con i primi sintomi, poi «il 23 ho chiamato il 118 che mi ha portato all’ospedale di Alzano, proprio nel giorno in cui venivano scoperti i primi casi di Covid-19». Lì resta soltanto un giorno: «Alle 2 di notte mi hanno dimesso con diagnosi di influenza. Il giorno dopo non respiravo più e la dottoressa mia medico di base è riuscita a farmi ricoverare al Papa Giovanni XXIII».

Qui Colombo inizia la trafila dei casi più gravi: «Terapia intensiva, terapia subintensiva, reparto infettivi, pneumologia e alla fine vengo intubato - ricorda -. Mi sono svegliato dopo due settimane che avevo perso 20 chili e mi hanno detto: lei è l’unico della sua stanza ad essersela cavata». Erano 7 o 8, in quella stanza. Tornato a casa il 21 aprile, ma ancora positivo, Colombo è dovuto rimanere in isolamento un altro mese, «anche i miei poveri familiari, mia moglie ei miei due figli, che avevano vissuto in autoisolamento i primi due mesi, hanno dovuto farlo pure il terzo. Per fortuna è tutto finito».

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