Bere l’acqua dal rubinetto?
Una persona su 4 non si fida

Uniacque: Il 25% del campione la preferisce in bottiglia. Il presidente Franco: «Ma la nostra rete idrica è verificata e di qualità».

Una persona su 4 non si fida a bere l’acqua del rubinetto. È una delle principali criticità del servizio idrico in Italia, e anche nella Bergamasca, emersa ieri durante il convegno «Water seminar 2» organizzato da Uniacque, la società pubblica che gestisce in provincia il servizio idrico integrato di 182 Comuni per un totale di circa 850 mila cittadini serviti.

Durante l’evento è stato realizzato un focus sui benefici sociali e ambientali che gli investimenti fatti su fognatura e su depurazione possono portare sul territorio. Nel caso di Uniacque l’analisi costi-benefici realizzata dall’istituto di ricerca di Milano Agici e che ha riguardato 16 Comuni bergamaschi (per un totale di 83 mila e 700 abitanti) ha fatto emergere un saldo positivo di 34 milioni di euro generato soprattutto dal fatto che, grazie all’attività di depurazione, non si assiste a problemi di inquinamento di terreni o acqua di fiumi per la cui bonifica poi bisognerebbe spendere. Nonostante però gli investimenti fatti nel servizio idrico integrato (dal 2014 al 2018 ammontano a 105 milioni quelli sostenuti da Uniacque) e i rigidi protocolli di controllo della qualità dell’acqua pescata dagli acquedotti pubblici e poi immessa nella rete idrica, molte famiglie ancora non si fidano a bere l’acqua che esce dal rubinetto «sebbene – ha sostenuto durante il convegno di ieri Samir Traini, vicedirettore del laboratorio “Ref Ricerche” – sia più salutare dell’acqua che beviamo nelle bottiglie di plastica». Traini ha poi reso noto il dato Istat da cui emerge che in Italia il «29% delle famiglie non si fida a bere l’acqua dal rubinetto».

Questo dato trova conferma anche nella Bergamasca. Dall’indagine effettuata da Uniacque nel 2019 su un significativo campione della popolazione del territorio di sua competenza è emerso che alla domanda «Lei beve acqua dal rubinetto?» il 25% ha risposto mai, e il 37% regolarmente. C’è poi un 38% che ha risposto qualche volta il che significa che, in determinati periodi, quel mai al 25% può anche aumentare in modo significativo. A chi ha risposto mai è stato poi chiesto il motivo e le principali risposte sono state «Perché voglio l’acqua frizzante», «Perché voglio l’acqua in bottiglia», «Perché l’acqua in bottiglia è più controllata». «È ormai da cinque anni che siamo impegnati a invertire questa tendenza. È la stessa Arera (Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente) che lo chiede – sostiene il presidente di Uniacque Paolo Franco – e lo stiamo facendo attraverso campagne di comunicazione e sensibilizzazione che vedono coinvolte scuole e società sportive. L’acqua del rubinetto non è quella sporca del lavandino che finisce nello scarico». Durante il «Water seminar 2» di ieri è stata anche evidenziata l’importanza che le società pubbliche di gestione dei servizi integrati investano sulla comunicazione per far capire alla popolazione quanto siano importanti gli investimenti fatti per migliorare depurazione, fognatura e acquedotto. «L’eventuale aumento futuro delle tariffe per sostenere questi investimenti – ha affermato ancora Traini – non deve essere visto come una vessazione». Ancora secondo i dati diffusi ieri, in Italia l’acqua viene fatta pagare molto meno: 2,15 euro a metro cubo (quella applicata da Uniacque è 1,63 euro) a fronte di una media europea di 3,61 euro. «Ciò quindi dà l’idea – ha concluso Traini – di quale potenziale di maggiori investimenti c’è ancora sul territorio». Investimenti anche per ridurre la perdita della rete idrica che nella Bergamasca si aggira ancora intorno al 30%.

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